Interris ha pubblicato la seguente intervista ad Antonio Russo, vicepresidente nazionale delle Acli, membro del Comitato Esecutivo e Portavoce nazionale dell’Alleanza contro la Povertà
In Europa, secondo le ultime rilevazioni annuali effettuate da Eurostat, ci sono 95,3 milioni di persone, pari al 21,6% della popolazione, a rischio di povertà o di esclusione sociale. In particolare, in Italia, secondo i dati Istat, poco meno di un quarto degli italiani, versa in condizione di fragilità economica. Interris.it, in merito alle nuove forme di povertà della nostra epoca e alle possibili forme di sostegno a chi si trova in difficoltà, ha intervistato Antonio Russo, vicepresidente nazionale delle Acli, membro del Comitato Esecutivo e Portavoce nazionale dell’Alleanza contro la Povertà.
D) Che cosa ci dicono i dati in riguardo alla condizione di fragilità sociale ed economica In Italia? Quale valutazione si sente di dare a riguardo?
“I dati pubblici divulgati delle varie agenzie indicano un aumento sia della povertà relativa chi di quella assoluta. La prima si è fortemente incrementata negli ultimi lustri ed è passata dall’11,5% del 1997 a circa il 15% nel 2021. La povertà assoluta, invece, è ben più grave, essendo passata dal 3% al 9,4%. Ciò ci dice che, a seguito della pandemia e dell’innalzamento dei tassi inflattivi, le nuove forme di povertà hanno colpito coloro che già hanno i salari bassi e chi non li ha proprio, lambendo sei milioni di persone. Questo numero basterebbe da solo a commentare la grave situazione attuale che necessita di politiche specifiche e mirate, non soltanto di tipo monetario, ma cambiando l’intero quadro per consentire alle persone di uscire dalle situazioni di grave povertà. Chiediamo che, il dibattito sulla povertà, diventi centrale nella questione politica, tenendo conto di un paese che si sta impoverendo, lasciando fuori dal perimetro dell’accesso ai diritti, del benessere pubblico e privato, un gran numero di persone. Ciò significa che, i volti della povertà, sono totalmente cambiati: ora lo sono i giovani, quelli che hanno perso il lavoro e, in qualche circostanza, coloro che ce hanno un impiego e una famiglia composta da più di due persone. Vediamo che, nelle famiglie monoreddito che vivono nei grandi centri urbani, dove ci sono uno o due bambini, la situazione è molto problematica. In questo secolo, purtroppo, come tre/quattro secoli fa, sembra sia tornato in auge il mantra secondo cui la povertà è una colpa. Non è così: è una situazione in cui ci si può trovare, in questo frangente poveri si diventa e, risalire la china, è sempre più complicato”.
D) In che modo e con quali misure, secondo lei, si possono sostenere le famiglie che si trovano in condizioni di difficoltà economica?
“Le leve su cui agire sono più di una, la più importante però è quella politica. Occorrono soluzioni specifiche, chi è povero lo è per una serie di ragioni, ad esempio perché, nel luogo dove vive, c’è un sistema di infrastrutturazione sociale che non lo aiuta a far crescere sé stesso e la famiglia. Una comunità che è priva di servizi sociali, al pari degli standard minimi previsti dalla legge, è una realtà dove, indubbiamente, si riscontrano difficoltà maggiori. Serve quindi un sistema più articolato di infrastrutturazione sociale, penso ad esempio agli asili e ad un sistema sociale omogeneo a tutte le latitudini e longitudini, che sia in grado di mettere in condizione le persone e le famiglie che vivono in una determinata comunità, di avere a disposizione dei servizi che li agevolino. Penso ad esempio a quelle donne che vorrebbero lavorare ma non lo fanno perché non ci sono delle strutture di accoglienza per i bambini. È necessario capire che, i fattori che ho appena elencato, sono tutti concatenati. In Italia nascono pochi bambini e l’aspettativa di vita è molto elevata, tanto che, siamo scesi per la prima volta sotto i sessanta milioni di abitanti. Questi dati ci dicono che, se non vengono fatte delle politiche famigliari in grado di conciliare i tempi di vita e di lavoro per i genitori e per le donne, per cui, purtroppo, sussiste ancora una disuguaglianza nei trattamenti economici. Se non c’è un sistema in grado di farsi carico delle persone e delle famiglie, i tempi di conciliazione vita – lavoro, sostanzialmente, vengono annullati. Ci sono dei paesi vicini a noi, come ad esempio la Francia, nella quale, già da molto tempo, si attuano politiche che incentivano la natalità. Quest’ultima, negli anni scorsi, aveva visto una retrocessione spaventosa rispetto al numero di bambini nati ma, agendo sulla leva della politica, la rotta è stata invertita. Politiche sociali e politiche del lavoro devono conciliare i tempi della vita e della famiglia. Oggi non è così e siamo di fronte a diverse situazioni di lavoro sottoposte a diversi fattori negativi. Un periodo lunghissimo della nostra storia repubblicana ha avuto un ordinamento per cui non era prevista una misura di contrasto diretto alla povertà. Dieci anni fa è nata l’Alleanza contro la Povertà in Italia di cui le Acli fanno parte. Il vincolo più forte che ha unito trentacinque organizzazioni è stata la richiesta, formulata al legislatore dell’epoca, di introdurre nel nostro ordinamento una misura diretta di contrasto alla povertà per cui, a suo tempo, eravamo i soli, insieme alla Grecia, a non disporne. Il principio era quello che, sotto una certa soglia di povertà, si ha diritto a un reddito minimo. Da quel momento in poi, i provvedimenti adottati dai diversi governi, sono andati in quella direzione, ossia verso il principio dell’universalità dei diritti sancito dalla Costituzione. Tutto ciò è successo fino alla legge di riforma del Reddito di Cittadinanza che, sostanzialmente, introduce un meccanismo categoriale della povertà, a mio parere, discutibile. Personalmente credo che si potranno avere delle difficoltà, come sottolineato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio in una relazione molto dettagliata sulle ripercussioni di questa misura. In particolare, la platea dei poveri, si allargherà e, le risorse investite su Adi e Sfl, saranno inferiori rispetto all’ultima annualità del Reddito di Cittadinanza. Vedremo e, anche attraverso i diversi decreti attuativi, cercheremo di capire come sarà possibile migliorarne il quadro. Negli ultimi anni, il confine tra povertà assoluta e relativa, si è progressivamente assottigliato, tendendo a scivolare verso situazioni peggiori”.
D) Papa Francesco ha sottolineato spesso l’importanza di costruire un sistema economico maggiormente legato all’etica. In che modo, secondo lei, si può riformare in tal senso l’attuale sistema economico per fronteggiare le nuove fragilità?
“La lettura alla quale ci rimanda Papa Francesco è quella di un pastore della Chiesa universale, che ha uno sguardo sul mondo, su tutti i poveri. Il Santo Padre ha scritto delle cose fondamentali che sono servite sia ai politici che agli economisti. Ha sottolineato che, l’economia, è per l’uomo e non viceversa. Nel corso degli ultimi cento anni di storia, abbiamo assistito al crescere di un protocapitalismo che ha schiacciato tutto ciò che ha trovato sulla sua strada, producendo poveri e povertà sconfinata. Questo sistema non funziona e ha dimostrato tutti i suoi limiti. Oggi, una grande quantità di ricchezza è posseduta da poche persone nel mondo e, dall’altra parte, con la crescente povertà, si è negata la possibilità alle persone di avere una vita dignitosa. Occorre ripensare ad un’economia in grado di rimettere al centro l’uomo e i diritti in modo globalizzato. Bisogna riflettere su cosa lasceremo in eredità, anche dal punto di vista ambientale dove, un modello economico di tipo consumistico, sfrutta semplicemente tutto ciò che trova, senza avere idea dei danni che provoca, i quali si ripercuoteranno sulle future generazioni. L’ecologia integrale a cui il Papa ci richiama va intesa anche come ecologia dei comportamenti, in grado di portarci ad avere rispetto del Creato e delle persone. Il raggiungimento di questi obiettivi presuppone, in tutto il mondo, l’adozione misure strutturali per la lotta alla povertà, ma oggi purtroppo non è così”.
Intervista di Christian Cabello