Il Sistema Sanitario Nazionale Universale è lo strumento attraverso il quale lo Stato italiano intende tutelare la Salute, secondo il dettato costituzionale.
Cosa si intende per Salute? Difficile organizzare servizi o predisporre risorse se non si definisce quale è l’obiettivo da raggiungere.
Secondo l’OMS la Salute è uno “stato di benessere fisico, psichico e sociale”: definizione molto complessa da tradurre in obiettivi.
La condizione di salute è uno stato unico per ciascuna persona: è un vissuto personale che è molto influenzato dal contesto socio-culturale e che va distinto dall’ “oggettivo stato di salute” che è quello che viene misurato (più o meno adeguatamente) dai sistemi di classificazione di malattia.
E’ possibile avere una soggettiva esperienza di benessere sia in presenza che in assenza di condizioni di malattia, così come è possibile avere un soggettivo stato di malattia sia in presenza che in assenza di un oggettivabile condizione di malattia.
Ci sono differenze individuali nel reagire ad una condizione di malattia oggettivata e oggettivabile, legate non solo al tipo di patologia e/o alla sua gravità, ma anche a fattori di resilienza propri del soggetto, a loro volta legati a condizioni interne e personali ma anche a condizioni sociali esterne: vivere in un contesto famigliare solidale o in un ambiente sociale rassicurante aumenta la resilienza individuale.
E nello stato di malattia, specie di tipo oggettivabile, la resilienza è un fattore cruciale, anche per la stessa sopravvivenza.
Il giudizio individuale e sociale circa il raggiungimento dell’obiettivo costituzionale della tutela della Salute è quindi influenzato da molti fattori e non solo dalla assenza o presenza di uno stato di malattia oggettivabile.
Tanto più alta è la pressione culturale a considerare il proprio benessere una condizione di fondamentale importanza, tanto più elevata sarà la domanda di servizi sanitari.
Un servizio sanitario pubblico, specie se a copertura universale, per riuscire nel suo intento si dovrà occupare dello stato oggettivabile di malattia senza trascurare il vissuto personale di benessere che è l’elemento di giudizio ultimo di ogni cittadino.
Un primo livello di risposta, sono le attività fornite dall’insieme dei servizi chiamati a rispondere ad un bisogno di salute che nasce da una condizione soggettiva di “non benessere”, quando non è ancora chiaro se questa condizione si stia manifestando con la concomitante presenza di uno stato oggettivo di malattia, ancora da individuare.
Lungo questa prima linea di frontiera è schierato il medico di medicina generale che ha il compito di far luce su ciò che viene espresso dal suo paziente.
La travolgente esplosione della tecno-scienza ha di fatto travolto questa prima linea di intervento: visite specialistiche e richieste di numerosissimi esami diagnostici, resi facilmente disponibili da uno straordinario sviluppo tecnologico, sono aumentati in maniera esponenziale, spesso senza un filtro di discernimento.
Un altro fattore sembra giocare un ruolo non secondario: la ridotta capacità dei contesti (famiglia e comunità) di generare sicurezza, abbassando la resilienza individuale, accentua lo stato di malessere soggettivo anche in presenza di una patologia oggettiva lieve, aumentando la richiesta di interventi specialistici.
In questo contesto gioca poi un ruolo non secondario il marketing sanitario, braccio operativo della economia di mercato applicata alla sanità, che ha l’obiettivo di ampliare la richiesta di beni e servizi, come avviene in tutte le economie di mercato: da qui l’aumento delle richieste di esami specialistici, di cui l’allungamento delle liste d’attesa (nonostante il continuo incremento di prestazioni erogate) e l’assalto al Pronto Soccorso sono le conseguenze più evidenti.
L’idea di contrastare questo fenomeno attraverso “percorsi standard” pre-definiti e sostanzialmente imposti al cittadino, difficilmente fermeranno questo trend: al più sposteranno un numero sempre maggiore di cittadini al di fuori del SSN, aumenterà la loro sfiducia verso il sistema sanitario pubblico e quindi verso le istituzioni: in queste condizioni, di solito la resilienza peggiora.
E anche i medici ne usciranno impoveriti e mortificati, sostanzialmente spinti ad una logica sempre più impiegatizia.
E forse neppure la spesa sarà veramente controllata, perché i percorsi standard, per coprire il rischio, tenderanno ad aumentare gli interventi di routine.
E poiché questo segmento di mercato è un settore di business in espansione, ci sono continui investimenti tecnologici che fanno ipotizzare anche un futuro superamento della necessità di mediazione del medico, specialista o meno: grazie agli strumenti tecnologici wearable l’individuo sarà in grado di monitorare le sue condizioni oggettive di salute in tempo reale e potrà essere allertato della presenza di un qualche parametro dubbio cui il mercato darà una pronta risposta.
Il passo successivo sarà la diagnosi, grazie a sofisticati algoritmi di machine learning, senza nessuna mediazione del medico.
Scenario verosimile, anche se il cittadino del futuro non starà per nulla meglio: niente è più tragico dell’essere soli nella malattia.
Indirettamente una spinta in favore dell’utilizzo della tecnologia, l’ha data anche l’attuale organizzazione sanitaria che ha “scoraggiato” l’attività clinica a favore della strumentalità diagnostica con una curiosa politica tariffaria che penalizza da sempre la attività clinica diretta del personale sanitario a vantaggio di tutto ciò che è tecnologico e facilmente fruibile: solo a titolo di esempio una visita cardiologica è tariffata nel SSN poco più di 20 euro, un eco color doppler cardiaco più di tre volte tanto, più o meno a parità di tempo di esecuzione.
A fronte di una domanda in continua crescita, un servizio sanitario pubblico universale è e sarà sempre senza difese: per contenere i costi continuerà ad abbassare le tariffe o ridurre i costi del personale per aumentarne la produttività, ma così facendo abbasserà ulteriormente la qualità e la quantità del “fattore umano”, unico strumento di governo a disposizione, aumentando ancora di più il ricorso agli esami strumentali e alla tecno-scienza e in ultima analisi aumenterà la spesa.
E’ necessario un ripensamento della strategia: come si tutela al meglio questa domanda di salute che ancora non ha evidenze di essere accompagnata da uno stato oggettivo di malattia?
Solo attraverso un sistema sanitario pubblico, destinato a svenarsi senza poter arginare il problema?
Discorso differente, anche sul piano organizzativo e della offerta di servizi, quando il senso soggettivo di malattia è accompagnato da uno stato oggettivo di patologia accertato: in questo caso però, abbastanza curiosamente, si è progressivamente trascurato l’aspetto “soggettivo” dello stato di malattia reificando completamente la malattia: la malattia diventata oggetto e “staccata dalla persona” è così più facilmente aggredibile dalla tecnica che diventa così “la soluzione” al bisogno di salute.
Con questo approccio, indubbi successi nella cura di molte patologie sono stati raggiunti e grazie alla ricerca scientifica altre scoperte significative avranno luogo: non necessariamente tutto questo si accompagna e si accompagnerà ad una percezione soggettiva e collettiva di migliori condizioni di salute.
Anche in questo segmento di organizzazione di servizi, il modello di tariffazione sia degli episodi di ricovero sia delle visite o controlli specialistici necessari per prendersi cura degli stati di patologia oggettivati, conferma questa netta propensione a “premiare” soprattutto la tecnologia, disincentivando l’ascolto e il discernimento clinico dello stato di malattia che è sia oggettivo che soggettivo e che è il vero indicatore di salute per il soggetto ammalato: la budgettizzazione introdotta in tutte le “aziende” ha dato una ulteriore spinta in tal senso, riducendo gli atti di cura e di assistenza in “tempi e costi”, da contenere.
La apertura del SSN anche ai soggetti profit, nell’intento di migliorare le performance del sistema e la produttività delle aziende “pubbliche”, ha ulteriormente favorito la spinta alla reificazione della malattia: il “privato profit” per massimizzare i profitti, il pubblico a causa della necessità di contenere i costi.
La spesa è ulteriormente lievitata sempre in direzione di un maggior consumo tecnologico.
Siamo sicuri che il “privato profit” sia compatibile con un sistema sanitario a copertura universale e che questo modello di “sanità aziendale” sia la sola risposta idonea a applicare il dettato costituzionale?
Terzo macro aggregato di organizzazione di servizi è quello deputato a rispondere a condizioni di “malattia” che si accompagnano a patologie cronico-degenerative o con molte comorbidità: la resilienza individuale in queste condizioni dove la patologia oggettivata è persistente e grave è un fattore di particolare criticità.
Se non adeguatamente supportata, la condizione di malattia percepita diventa molto intensa e penosa: a volte porta alla disperazione, se si è lasciati soli o se il contesto non è adeguatamente supportato.
Attualmente il servizio sanitario è sostanzialmente incapace a far fronte in maniera competente a queste condizioni di fragilità, specie nei momenti iniziali o finali del vivere: ed è un difetto comune a tutti i sistemi sanitari occidentali.
E’ un ambito dove cruciali sono le risorse umane che devono essere quantitativamente e qualitativamente adeguate e non solo sul piano della competenza tecnica.
Chi opera in questi contesti deve sapere agire anche sulla resilienza individuale e dei contesti e deve possedere una motivazione personale molto elevata, che può giovarsi anche di convinzioni etiche o religiose: una politica tariffaria mortificante come l’attuale, un sostanziale disconoscimento sociale dell’importanza di queste attività (a basso contenuto tecnologico e quindi a bassa redditività) e la quasi totale assenza di risorse unita ai pochi strumenti operativi a disposizione, rendono la sfida attualmente insostenibile.
In questi ambiti, forse una adeguata devoluzione di queste funzioni verso strutture organizzate della società civile che si assumono il compito di rispondere in nome e per conto dello Stato, potrebbe essere una soluzione vincente: più vicini alla persona e alla comunità, con motivazioni intrinseche più elevate e con una maggiore flessibilità organizzativa rispetto alle organizzazioni statali.
In altri termini: più spazio all’economia civile di mercato
Certo, superando completamente o quasi l’orrido concetto della “tariffa a prestazione” che è intrinseca al concetto di mercato capitalistico, ma che non è applicabile per tutelare la salute in queste specifiche condizioni di malattia, soggettiva e oggettiva, causata da patologie ingravescenti o multiple con conseguente fragilità personale e dei contesti.
Se non si interviene rapidamente riformando profondamente l’intera organizzazione del SSN, mettendo al centro proprio questo ambito fino ad ora molto trascurato, non ci resterà che rassegnarsi ad una deriva eutanasica diffusa anche nella mentalità popolare al punto che diventerà parte della nostra “cultura”.
Servono indubitabilmente più risorse al SSN, ma senza una radicale revisione, che tenga conto delle nuove conoscenze e evoluzioni, anche maggiori risorse economiche non basteranno a tutelare la “salute” dei nostri cittadini.
Massimo Molteni