Oggi è prevista, a Palermo, l’arringa difensiva dell’ Avv. on. Giulia Bongiorno nel processo Open Arms, per il quale il Pm ha chiesto una condanna a sei anni per il vice-presidente del Consiglio, Matteo Salvini, Ministro dell’ Interno all’epoca dei fatti, orgoglioso difensore del patrio suolo da qualche decina di adulti affamati, accompagnati da bambini stremati.

È la stessa Bongiorno che, nel team difensivo diretto dall’ Avv. Coppi, concorse alla difesa, sempre presso il tribunale di Palermo, di Giulio Andreotti. Difesa “nel processo”, va ricordato, di un uomo di Stato che non si è mai sottratto al rispetto dovuto alle istituzioni democratiche del popolo italiano e, in particolare, alla magistratura ed al potere giudiziario.

Anche allora vi fu chi, diversamente, si difese “dal processo”. E vi fu, in quella stagione furente e drammatica, anche chi preferì darsi la morte, pur di non comparire davanti ai giudici. E, almeno in alcuni casi, quel gesto estremo ebbe il valore di una rivendicazione di innocenza che disperatamente si pensava di non poter altrimenti far valere nella temperie del momento.

Oggi, diversamente da allora, l’Avv. Bongiorno, in aula, non dovrà combattere da sola. La difesa di Salvini verrà sostenuta anche dalla piazza, dove i parlamentari, e addirittura i ministri leghisti – cioè le avanguardie del potere “esecutivo” – vengono convocati per esercitare una netta e dichiarata contrapposizione al potere giudiziario.

Per quanto possa succedere che il tutto si risolva in un’operetta e venga, infine, sepolto dalle risate di gran parte degli italiani, resta la gravità di questa sorta di “Capital Hill” in salsa paesana.

Chissà cosa ne pensa un paladino della legge, qual è Giulia Bongiorno che, da sottile giurista, sta accompagnando il suo illustre cliente, in un acrobatico salto di qualità, verso uno scontro frontale tra poteri dello Stato.

Siamo, infatti, alla costruzione del processo al “processo”, cosa di per sé inaudita, ma di una gravità impressionante quando promossa da un autorevole membro del governo.

Prima di ogni altro, una tale deriva dovrebbe preoccupare la Presidente del Consiglio, soprattutto in considerazione del fatto che questa slabbratura del rapporto tra poteri dello Stato è provocato da uno dei due suoi più stretti collaboratori, quindi è un po’ come se nascesse nelle sue stanze.

Se un suo vice cerca di intimidire la magistratura non dovrebbe il Presidente del Consiglio richiamarlo severamente all’ordine ed impedirgli di recare danno?

Al contrario, Giorgia Meloni si dichiara solidale a Salvini per cui sorge il dubbio se la sua concezione dell’equilibrio tra i poteri dello Stato e, dunque, della democrazia, sia del tutto consona allo spirito ed alla lettera della Costituzione o, al contrario, sia tributaria anche di altre fonti.

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