Ennesimo pasticcio della sanità lombarda: questa volta non partono gli SMS e così centinaia di persone non si presentano alla vaccinazione. Per provare a rimediare all’errore gli hub vaccinali fanno partire un “tam tam” mediatico per far arrivare altri possibili candidati: ne arrivano troppi, affollamento e gente rimandata indietro!
Non è il momento di fare polemiche politiche di bassa lega.
Una domanda però va posta: come è possibile che una delle regioni motore economico dell’Europa inanelli continui errori organizzativi e logici che l’hanno portata ad essere la regione italiana con il più alto numero di morti per covid e la quart’ultima nella efficienza ad organizzare la vaccinazione?
Il virus ci ha colti di sorpresa nell’inverno del 2020: è vero. Era un agente virale sconosciuto: è vero. Ma, come mai a distanza di dodici mesi non si impara dagli errori e si continua imperterriti nella stessa direzione gestionale, ahimè, sbagliata?
Smettiamola con le favole che la colpa è di Roma o di ….Arcuri …Avranno le loro colpe che non giustificano in nessun modo la confusione devastante in cui è precipitata la sanità lombarda. E anche il cittadino comune avverte con crescente timore questa confusione che ricorda – vagamente – la disfatta di Caporetto.
Il modello organizzativo della sanità lombarda, fiore all’occhiello fino a poco tempo fa, su cosa si fonda? Sul concetto di azienda, interpretato con la solita iper-efficienza lombarda.
Una azienda sanitaria regionale unica – la direzione Welfare – articolata in Agenzie territoriali della Salute (han cambiato il nome ma le regole sono sempre quelle di tipo aziendale) e Aziende socio-sanitarie territoriali che di territoriale han solo il nome: fortezze efficientistiche produttrici di prodotti per la salute.
Cosa c’è di più “sacro” per un lombardo, se non il concetto di azienda? Il termine stesso richiama laboriosità, efficienza, dedizione, spirito imprenditoriale…naturale che proprio in Lombardia questo concetto organizzativo sia stato preso sul serio e applicato scrupolosamente.
Anche perché la storia lombarda, almeno dal dopo guerra, è stata fatta da centinaia e centinaia di “piccole aziende” che hanno costruito la “ricchezza lombarda” e italiana!
Qui sta l’equivoco concettuale: nel modello organizzativo, piccola azienda non è affatto sinonimo di “grande azienda multinazionale”.
La piccola azienda è forgiata dallo spirito imprenditoriale che è un mix di laboriosità, dedizione, efficienza e, entro certi limiti, anche di condivisione tra i diversi componenti che vi lavorano: la aneddotica degli anni sessanta e, in misura più limitata, anche quella attuale evidenzia questo spirito solidale trasversale che, pur nel rispetto delle gerarchie, sa coinvolgere e concedere autonomia di iniziativa, all’interno delle finalità definite e condivise: non si chiama “mission”, non ha bisogno di essere scritta in bella prosa o stampigliata sulle home page aziendali e sulle relative brochure, ma era ed è ben percepita e percepibile tra chi lavora in queste piccole realtà imprenditoriali.
Trasparente e chiara: e quando è coerentemente applicata, porta a indubitabili successi
La grande azienda mutinazionale è tutt’altro: organizzazione simil- militaresca con una catena di comando rigidamente gerarchica, con una netta distinzione di ruoli rigidamente separati, opaca definizione degli obiettivi (quelli dichiarati non sono quasi mai quelli perseguiti), attenzione solo superficiale al prodotto (la qualità più che intrinseca e sostanziale all’oggetto prodotto, è marchio comunicativo da perseguire con azioni tese a dimostrarne l’esistenza: marketing) spasmodica ricerca dell’utile finanziario da perseguire sempre e comunque, top management come “soldati di ventura”, al soldo del miglior offerente: importante che siano “bravi”, e pazienza se a volte un po’ canaglie. Il governo delle varie attività è “procedurale”, il “benessere” di chi lavora è costruito attraverso specifiche azioni che hanno come oggetto il miglioramento del “clima aziendale”, inteso come “oggetto” in grado di far crescere l’efficienza ( se il lavoratore sta bene, produce di più…), selezioni e progressioni di carriera basate sulla evidenza documentale, trasparente, ossia oggettiva, il più possibile non inquinata da fattori soggettivi decisionali (se tutti sono “soldati”, uno vale l’altro, purché facciano quello per il quale sono stati assunti e pagati, senza troppe discussioni) il coinvolgimento nell’innovazione proceduralizzato e asservito a strumento di miglioramento dell’efficienza (il metodo Toyota), rispetto rigoroso, financo ossessivo del “politically correct” di volta in volta imperante, anche a costo di penalizzare chi vi lavora.
Una sanità aziendalizzata e saldamente incardinata a livello regionale, fatalmente si trasforma in una grande “multinazionale della salute”, dove il prodotto – spesso sfuggente – è funzione del risultato finanziario (i tetti di spesa): e poiché in un sistema “statale”, gli utili finanziari non sono distribuibili per definizione, si trasformano di conseguenza in “rendite di vassallaggio” che in un cultura sempre un po’ familistica come quella italiana, si traduce in “invadenza della politica” (si dovrebbe correttamente dire “vassallaggio partitico”) ossia “circolarità degli incarichi dirigenziali” sottoposti a vincolo di fedeltà al capo.
Poi in un momento in cui si è diffuso il mito che la complessità si governa con il decisionismo dell’” uomo forte” (o creduto tale) in grado di illudere le masse (opss… il popolo), e su una cultura popolare – quella lombarda – di suo incline per natura alla obbedienza e alla rigida adesione alla gerarchia, il cerchio sulla necessità di una aziendalismo organizzativo diventa un “dogma di fede”, pure un po’ calvinista.
Immaginare che un “bene” (non un “prodotto”!!!) , ossia la salute dei singoli cittadini, di suo così irriducibilmente mutevole, influenzato da miriadi di variabili biologiche e socio-ambientali, possa essere “prodotto”, secondo modalità standard, “proceduralizzate” all’interno di una organizzazione gerarchica e formale che in realtà deve perseguire prima di tutto il risultato finanziario, ossia le rendite di posizione del valvassore o del barone di turno, è un vero e proprio drammatico “errore logico”.
La salute dei lombardi era ben gestita quando il sistema doveva limitarsi a intervenire “chirurgicamente” sul problema emergente, la malattia acuta, “parentesi” nello spontaneo benessere di cui la maggior parte dei cittadini gode: da tanti anni è carente la capacità di gestire la fragilità e la cronicità, ossia quelle condizioni dove l’intervento tecno-sanitario non è risolutivo ed è necessario un continuo lavoro di aggiustamento (check and balance) anche sui contesti di vita.
Probabilmente in maniera involontaria, anche lo scientismo rigidamente applicato – a volte anche con merito – nella sanità lombarda ha dato il suo contributo a “proceduralizzare” il sistema: solo protocolli e solo basati sulla evidenza! A volte, e non raramente, gli ammalati, spesso se cronici e fragili, si ostinano a “…non conoscere i protocolli ….” (!) che così su di loro di conseguenza non funzionano o funzionano assai male…
Il medico e una medicina che incarna la scienza nel rispetto dell’evidenza e anche della persona che abita il mondo reale della vita, sa “deviare” dai protocolli e sa sviluppare numerose eccezioni (è lo spirito “del piccolo imprenditore” applicato alla salute): in un sistema che vede le deviazioni dai protocolli come atti di pericolosa insubordinazione e che ha scelto i vassalli sul criterio dell’obbedienza acritica, ogni spirito di iniziativa è stato progressivamente “strangolato”…
Anzi, è pure punito manifestare critiche o dissenso!
E’ così è arrivato un virus, piccolo e insignificante: e l’invincibile armata della organizzazione sanitaria lombarda ha perso progressivamente “la testa” ed ha fallito, incapace di trovare dentro di sé proprio quelle risorse e quelle forze che fanno dello spirito imprenditoriale lombardo il punto di forza di questa terra operosa e laboriosa.
Ma quello spirito non può sorgere all’interno di una organizzazione totalizzante come quella di una “multinazionale” della salute! Nessuno al mondo è in grado di gestire simultaneamente in maniera verticistica e procedurale così tante variabili come quelle in gioco per dare la salute a 10.000.000 di persone! Probabile che non ce la faccia nemmeno l’intelligenza artificiale….
La Cina ci riesce, apparentemente: coerentemente manda i soldati, quelli veri, a far rispettare gli ordini impartiti, a fucilare chi non si adegua e non si preoccupa più di tanto degli effetti collaterali (i morti) delle persone: un regime che è stato capace di imporre la selezione sui figli da mettere al mondo, non ha certo problemi a definire ciò che un suddito deve fare!
E’ curioso che proprio nella capacità di risposta alla pandemia, regioni come ad esempio la Campania, da sempre non così “efficienti” nella organizzazione aziendale (così almeno nell’immaginario lombardo), abbiamo mostrato uno spirito di resilienza e di adattamento migliore: nel momento dell’emergenza, la scarsa “aziendalizzazione” è stato il vero punto di forza, perché ha lasciato emergere – magari in forma disordinata- quella capacità di adattamento che nei periodi di grave crisi è sempre stato un punto di forza dell’Italia
Non essere azienda, non vuol dire non essere organizzati! Non è un caso che è stato chiamato a organizzare la campagna vaccinale un militare, grande esperto di logistica e organizzazione! E l’esercito non è per nulla una azienda, tantomeno una multinazionale della finanza, ma per funzionare deve essere ben organizzato
E organizzare bene non vuol dire non saper valorizzare buon senso e spirito di iniziativa (vedi le recenti dichiarazioni del generale Figliolo in Tv): e gli eserciti ben gestiti lo sanno bene, specie quando si deve far fronte a risorse “scarse”: fondamentale avere una “mission” (le “regole di ingaggio”) chiara e incontrovertibile:
“Non è il momento di prendere soldi, è il momento di darli”, ha recentemente affermato il Presidente del Consiglio: chiara vision e conseguente mission.
E’ abbastanza inutile che l’assessore alla sanità lombarda strilli contro le strutture organizzative della sua regione: ogni botte dà il vino che ha!
Chi è stato la causa di questo disastro, preparato da decenni di logiche organizzative sbagliate, come può pensare di poter rimediare?
Il CEO – ossia assessore e governatore – ci mettono certo del loro, ma è il sistema che va riformulato sul piano organizzativo!
Si è costruito un mito, quella della azienda sanitaria, che non funziona ed è anche antropologicamente sbagliato: per i cattolici in particolare la “multinazionale della sanità” dovrebbe essere totalmente inaccettabile, perché la persona ha il primato sulle cose, la vita reale sulle procedure…(o no?).
Nel attualità di questa grave crisi, si dovrebbe cercare di limitare i danni, evitando di andare in direzione opposta: invece che fa il potere politico lombardo? Va in direzione opposta ossia rafforza ancora di più il centralismo regionale da multinazionale, cacciando il direttore regionale del welfare, dopo poco più di otto mesi, per imporre un manager “bocconiano”, richiamando i “riservisti” e stringendo un patto di ferro con le grandi aziende lombarde: in nome del “prima il Pil” e poi il resto?
Una vera organizzazione sanitaria moderna e efficiente si ottiene recuperando il vero spirito della piccola imprenditoria lombarda, incarnato nel territorio e sulle autonomie delle diverse realtà, all’interno di una cornice di regole ben definite – poche e chiare! – con una governance legata al territorio, superando il concetto che la salute sia un prodotto da acquistare al market regionale aziendale!
E invece, oltre al disastro continuo nella gestione della pandemia, in che direzione sta andando la regione? Centro di prenotazione unico delle prestazioni specialistiche a livello regionale così il cittadino può acquistare nei tempi più convenienti il “prodotto” di cui ha bisogno, in un unico grande mercato aziendale regionale!
(Non importa se sei anziano o fragile: …”da Crema … a Casalmaggiore…” per una “punturina” [appena visto con le vaccinazioni, giusto?] che sarà mai?)
Servono più che mai “uomini liberi e forti”: la libertà non ha prezzo!
Massimo Molteni