Quanto è cambiato il Festival di Sanremo in 73 anni. Allora, agli inizi, si trattava di una sola serata perché la gente doveva lavorare. Eravamo ai vagiti del boom e allo svago si riusciva a dedicare appena una serata a settimana. Poi, a mano a mano che l’Italia cambiava, anche il Festival si adeguava ad un Paese diverso che modificava stili di vita, comportamenti ed ampliava, nel pluralismo politico e culturale, i propri sentimenti e il modo di vivere la vita.
Sanremo, insomma, specchio di noi altri. Questo l’ha trasformato in quello che fu definito un evento nazional – popolare. Proprio perché esprimeva la compenetrazione dialettica con l’Italia. Ovviamente, a chi voleva un paese diverso, le attese speranzose non muoiono mai, fortunatamente!, il Festival non lo vedeva, in linea di massima. In qualche modo, Sanremo dava persino fastidio. E anche la politica, talvolta, trovava qualcosa da ridire. Accadde, ad esempio, nel pieno della stagione dei grandi scioperi che la sinistra si risentì per Celentano e la Mori, sua moglie, che cantavano “chi non lavora, non fa l’amore”.
Ma le polemiche non hanno mai raggiunto il livello di quest’anno. Le cose evitabili, ieri ricordate da Domenico delle Foglie (CLICCA QUI), non hanno mai scatenato una polemica tanto accesa come quelle di questi giorni. Hanno finito inopportunamente, ed impropriamente, per coinvolgere persino il Presidente della repubblica, Sergio Mattarella, reo di essersi presentato a Sanremo per la prima volta ed ascoltato il bellissimo soliloquio di Roberto Benigni sulla Costituzione.
E’ evidente che quella venatura che Giorgia Meloni cerca di allontanare dalla propria immagine resti, invece, profonda in tanti dei suoi che questa Costituzione vogliono persino cancellare. Tanto urta loro la cultura politica ed il sentimento di umanità che essa promana in un radicamento nella lotta alla tirannia e all’esaltazione democratica e popolare nate con la fine del fascismo.
Alcuni passaggi di questo Sanremo potevano, dovevano essere evitati, anche perché eccessivi ed ostentatamente esibiti. Forse è venuta meno quella “moral suasion” che i responsabili del Festival hanno sempre esercitato dietro le quinte. Evitando così di attuare forme di censura che sarebbero state inaccettabili, ma al tempo stesso cercando di non fare perdere all’evento sanremese la caratteristica di essere, appunto, espressione di una larga parte dei fenomeni che incombono nella società italiana.
Colpisce la “violenza” con cui taluni si sono scagliati contro la “violenza” di quelle immagini valutate giustamente al di sopra delle righe. Colpisce il fatto che molte critiche vengano da un mondo culturale – politico che non capisce di avere delle forti responsabilità di quell’espressione dell’individualismo e dell’idea che tutto sia concesso. Critiche espressione di un mondo che proclama una libertà anarcoide in campo economico e sociale e poi si lamenta se i frutti sono questi. Critiche che fanno finta di dimenticare le “volgarità”, certo di altro genere, ma sempre di volgarità si tratta, diffuse dagli stessi che le muovono verso Sanremo nel corso dei programmi televisivi a cui partecipano. E anche quelli, sì che meriterebbero una lamentela davvero quotidiana. Critiche che dimenticano quanto quelle immagini siano la sostanza dei tanti figli di un’Italia per cui non si sono mai voluti investire adeguati fondi nel sistema scolastico e formativo. Di un’Italia che si è lasciata andare a briglia sciolta nell’accettare supinamente una visione anarcoide – individualista e che ha anche una componente politica: quella del populismo e delle promesse facili. Critiche che vengono da chi ha portato alla guida della Regione Lazio, per sua stessa ammissione, chi fu a suo tempo “scapestrato” come lo sono stati alcuni “scapestrati” della Sanremo della settimana scorsa.
Spesso, quelli che non ci piacciono sono proprio figli nostri. E non è facile accettare ciò che non ci piace dei nostri figli. Forse, perché è impegnativo indagare sulla esistenza di possibili nostre responsabilità.
Non si tratta sempre di assolverli i figli. Ma, almeno, riflettiamoci sopra quando finiamo per utilizzare le polemiche su Sanremo per altri fini. Riflettiamoci nel prossimo, immediato futuro allorquando si vorrà procedere all’occupazione della Rai, se non alla sua vendita.
Giancarlo Infante