A fronte di tante banalizzazioni offerte dai telegiornali della sera, sentendo Sergio Mattarella rinnovare il giuramento dinanzi alle Camere riunite, è stato spontaneo, a costo di apparire un poco irriverenti, rimandare alla mente un ritornello caduto in disuso, ma oggi proprio da riprendere: “meno male che Sergio c’è!”. E questo perché? Perché il messaggio del Presidente è anche un’oggettiva risposta a quello che si è visto, si è ascoltato e si è letto nel corso dei “travagliati” giorni vissuti durante la scorsa settimana. Giorni “travagliati” anche per lui, ha tenuto a rimarcare il Presidente. E’ c’è da chiedersi se proprio quell’aggettivo così intenso e tanto pieno di sottintesi non spieghi pienamente i motivi che lo hanno portato ad accettare un nuovo mandato.
“Meno male che Sergio c’è” perché ancora una volta sappiamo che, grazie alle sue essenziali ed intense parole, respiriamo il ritorno alla Politica intesa come servizio ai cittadini, alla società, alle tante comunità che formano l’Italia, e di cui abbiamo proprio bisogno. Torniamo ad ascoltare e ad apprezzare il senso di alcune espressioni e termini: responsabilità, volontà popolare, solidarietà, disuguaglianza, dignità. Termini ed espressioni che sembravano irrimediabilmente destinate ad essere, persino, considerate desuete; tanto sovrastate dalla sciatteria istituzionale, dalla rissosità, dalla continua ricerca di divaricazioni e dalla vacuità cui ci è stato dato di assistere di frequente:
Mattarella ha pronunciato il suo discorso d’insediamento di fronte a senatori, deputati e rappresentati regionali avendo forte, nel doveroso rispetto della specificità del loro ruolo, il senso più generale, e costituzionalmente fondato, della rappresentanza popolare. E’ come se in quell’emiciclo, così, fosse riunito l’intero popolo italiano. Destinato a trovare e ad esprimere esclusivamente nel Parlamento la massima e dichiarata espressione della volontà nazionale. E’ stato dunque un intervento rivolto, sì immediatamente, a chi lo ha fortunatamente rivoluto al Quirinale, ma in realtà ha rappresentato una forma alta di chiamata alla responsabilità per tutti quanti noi.
Erano anni che non si partecipava a quello che potremmo definire una “semplice” lezione, ma poderosa ed efficace lezione istituzionale e politica. Una vera e propria “lectio” da scolpire sugli archi di volta dei palazzi in cui si esercita la volontà popolare e si gestisce la cosa comune.
La Costituzione è ciò che tutto richiama, tutto assorbe e tutto spiega se si mantiene il senso dello stare assieme. Non c’è bisogno di grandi giri di parole. Ma di coerenza sì. Soprattutto nel “riannodare il patto costituzionale tra gli italiani e le loro istituzioni libere e democratiche”.
Nel corso dei giorni “travagliati”, fortunatamente, ma, anche fortunosamente, conclusisi con la sua rielezione, a Mattarella non sono sfuggite forme e metodo dell’esplicitarsi di talune vicende e le conclusioni cui qualcuno pensava si potesse giungere. Giorni in cui è sembrato persino possibile che, con la scelta di un ben altro Capo dello Stato, si potesse prefigurare il futuro di un’Italia diversa da quella disegnata dalla Carta fondativa.
Alle tante suggestioni avanzate, Mattarella ha risposto con l’adesione piena ad una consolidata visione democratica che mette al centro di tutto la pluralità di una presenza sociale, politica, culturale ed antropologica fatta da “Forze politiche e sociali, istituzioni locali e centrali, imprese e sindacati, amministrazione pubblica e libere professioni, giovani e anziani, città e zone interne, comunità insulari e montane”.
E’ nel rispetto e sostegno di questo pulsare ricco, da riscoprire e valorizzare, che si risolve il problema della governabilità e della rappresentanza. “Un’autentica democrazia – ci ha detto il Presidente- prevede il doveroso rispetto delle regole di formazione delle decisioni, discussione, partecipazione. L’esigenza di governare i cambiamenti sempre più rapidi richiede risposte tempestive. Tempestività che va comunque sorretta da quell’indispensabile approfondimento dei temi che consente puntualità di scelte”.
Non abbiamo, dunque bisogno di rincorrere alcuna idea “presidenzialista” o … “semi”.
Nel conciliare tempestività e il rispetto del processo decisionale su base democratica, Mattarella ha prospettato la risposta più ovvia, e più costituzionalmente corretta, ad una forzata dicotomia su cui si è giustificato il perpetuarsi della Seconda Repubblica, nonostante i segni del suo disfacimento emergessero da tempo. Quella della presunta inconciliabilità tra governabilità e rappresentanza.
Infine, dopo aver ascoltato tante discettazioni al riguardo, questo il vero significato da dare al suo continuo, insistente, inesausto riferirsi alla “dignità”: mai lasciare che il forte, egli ha parlato esplicitamente di “poteri economici sovranazionali”, riesca ad imporsi, “aggirando il processo democratico”.
Giancarlo Infante