Hanno proprio ragione Natale Forlani (CLICCA QUI ) e Domenico Galbiati (CLICCA QUI): la vicenda dell’Ucraina cambia completamente i nostri parametri di riferimento ed è richiesto un autentico cambio di passo. E il modo in cui Putin ha smentito i suoi impegni a rispettare l’integrità dell’Ucraina deve farci ritenere che la storia sarà lunga. Inutile farsi soverchie illusioni. Le conseguenze dell’improvvida invasione russa dureranno nel tempo e potrebbero avere conseguenze economiche e sociali persino più ampie di quelle appena sperimentate nel corso dei due anni di pandemia. Non si tratterà solamente della questione energetica.
L’invasione dell’Ucraina, al di là del fatto che potrebbe limitarsi al tempo necessario ai russi per smantellare gran parte delle difese militari ucraine, annettersi un altro po’ di territorio da far gestire alle manovrate marionette dei separatisti, e magari provare a defenestrare il Governo di Kiev per istaurarne uno fantoccio, ha cambiato tutto. Persino la Germania è costretta a rivedere le logiche degli ultimi vent’anni e si sta determinando un rinserrare le fila in Europa e nella Nato. Mentre le vicende di queste ore stanno già provocando un effetto domino nell’area caucasica e del Mar Nero dove si rinfocolano vecchie e nuove divisioni e finiscono in crisi coloro che hanno finora provato a barcamenarsi, come nel caso del turco Erdogan.
Purtroppo per lui, e per noi, Putin sta diventando nell’immaginario collettivo occidentale il Saddam Hussein di trent’anni dopo. Le dichiarazioni del Primo ministro britannico Boris Johnson vanno in questa direzione e le sanzioni annunciate da Joe Biden come “devastanti” saranno dirette alla destabilizzazione dell’attuale sistema di potere russo. In qualche modo, potrebbe darsi che lo scontro finirà per essere giocato attorno al chi avrà più possibilità di resistere, non soltanto sul piano militare, bensì su quello della tenuta psicologica, economica e sociale.
In queste ore un moto di solidarietà muove tutti verso l’Ucraina e gli ucraini, assieme alla preoccupazione per un allargamento del conflitto. Ma Putin potrebbe provare a puntare alla lunga sulla stanchezza degli Occidentali e, dunque, sulla nascita di quello che potrebbe emergere come un “fronte interno” frutto dei “costi” di una continua conflittualità e del peso delle sanzioni che, ovviamente, hanno anche un rovescio della medaglia. La sua minaccia di interventi “asimmetrici” cosa potrebbe dire se non il pensare d’intervenire anche su ciò che di bellico non ha niente in termini diretti, ma che può comunque finire per incidere fortemente sulle vicende del confronto armato?
Già abbiamo dei segnali. Le borse mondiali sono crollate. Inclusa quella di Mosca. Cosa che ha costretto la Banca centrale russa a provvedere ad una forte iniezione di capitali per sostenere il precipitato rublo. Ma il sistema finanziario asiatico e quello dell’Occidente si trovano già in una forte turbolenza a causa del biennio pandemico e dell’inflazione che si è innescata. Due grandi aziende produttrici di pasta italiane non garantiscono la distribuzione dei loro prodotti. Una, perché non ha potuto ricevere decine di migliaia di tonnellate di grano atteso dal Mar d’Azov; l’altra, perché i camion che dovevano trasportare il grano italiano utilizzato sono fermati dai blocchi stradali allestiti, in talune parti d’Italia, dagli autisti inviperiti per il balzo del costo dei carburanti.
Il “fronte interno” non lo si fa nascere se ci si renderà conto che è necessario intervenire, ma questa volta subito, così come si è fatto per i “ristori” necessari per rispondere alle conseguenze della Covid-19. L’Italia si deve fare immediatamente promotrice di un intervento europeo ed occidentale perché il prezzo della guerra in Ucraina non sia pagato dai cittadini su cui già pesa un lungo periodo di sacrifici e ristrettezze.
Intanto, che il Governo elimini gli aumenti delle accise sul balzo del costo delle materie energetiche. Intervenga per impedire l’esplosione dei prezzi dei prodotti essenziali e degli alimentari, cosa di cui approfitta anche una parte del sistema di distribuzione che è senza scrupoli. Restiamo comunque consapevoli che, come ci ricorda Natale Forlani, c’è bisogno di un cambiamento totale delle politiche strategiche del Paese.
E’ evidente come lo scontro mondiale in atto con Russia e Cina sia anche frutto della necessità di avviare una politica d’innovazione e di trasformazione dei sistemi di produzione, la famosa “transizione”, dagli enormi costi economici e sociali che né Russia né Cina si possono permettere adesso di affrontare. Ma anche noi potremmo scoprire che, senza una redistribuzione delle ricchezze, e una suddivisione più equa dei costi sociali ed economici, a maggior ragione dopo il rinnovarsi di crisi finanziarie e bancarie, due anni di pandemia e adesso per le conseguenze che anche noi avremo dall’adozione delle sanzioni contro la Russia, non saremmo in grado di sostenere una nuova stagione assolutamente necessaria, proprio mentre ci si para dinnanzi una nuova divisione del Mondo. Ed è questa cosa su cui Putin potrebbe scommettere per trovare una ragione per resistere più a lungo invece che tornare alla ragionevolezza necessaria.
Giancarlo Infante