La Sardegna ha detto di no a Giorgia Meloni. I motivi sono vari. Nazionali e locali. Per il disprezzo dell’istanza dei territori e per anni ed anni durante i quali l’isola è stata lasciata sola … ad impoverirsi. Non sarà stato solo colpa della destra, ma i giudizi sugli ultimi cinque anni sono impietosi. Persino da parte di quelli che hanno sostenuto Solinas lungo un dannoso quinquennio per i sardi.
I dati dicono pure che Giorgia Meloni è stata punita per avere imposto un candidato già molto criticato per come aveva fatto il Sindaco di Cagliari. E siamo al punto che ora si dovrà porre il problema di come non perdere pure il capoluogo di regione. Tutto perché, ignorando completamente le istanze locali, si è gettata nella mischia interna alla destra per far valere il suo proprio potere. Per la ricerca spasmodica di un riconoscimento di leadership che, forse, non è ancora proprio come quello che lei vorrebbe vedere riconoscersi. Ma per l’eterogenesi dei fini si trova ora con una importante sconfitta da registrare. C’aveva messo la faccia. E proprio per questo il ceffone della Sardegna brucia ancora di più.
L’esame più approfondito del voto confermerà o meno se e quanto avrà inciso il “fuoco amico” dei leghisti molto risentiti per l’estromissione del loro ex Presidente. E bisognerà anche vedere se il risultato di ieri potrà avere più ampie conseguenze nella coalizione della maggioranza a dispetto delle dichiarazioni di circostanza. Di sicuro, la Sardegna ha indicato un metodo che potrebbe ripetersi in altre parti dove Giorgia Meloni e i suoi proveranno a fare il cosiddetto “tutto mio” a spese degli alleati.
Ma la Sardegna costringe alla riflessione anche altri. Quelli della “vocazione maggioritaria” e i tanti leader e “liderotti” fioriti come funghi negli ultimi anni. La candidatura della nuova Presidente Todde non è nata nelle segreterie dei partiti e nei salotti di Roma. E’ stato il frutto di un lungo lavorio nei territori. E per meglio rimarcare questo, la Schlein e Conte sono stati mostrati ai sardi a piccole dosi. Anche se, poi, e ovviamente s’intestano la vittoria a livello nazionale. E’ una grande lezione anche per il Pd e per altri. Non tanto per il mantra “dell’uniti si vince”, ma perché un serio fronte comune deve partire dal riconoscimento di ciò che le realtà locali vogliono vedere far emergere di positivo. Tra cui la pluralità delle posizioni e la ricchezza del civismo di cui dev’essere rispettato il giustamente voluto carattere autonomo.
Lo stesso può valere per l’altro sconfitto di ieri, Soru. La sua presenza fa risaltare ancora di più il successo della Todde che, dunque, non è solo vittoria della sinistra, ma di una proposta dei sardi per i sardi. Dietro Soru, sono stati Renzi e Calenda, interpreti ancora una volta di un’idea di rigidità delle alleanze, ma solo quando e come pare a loro, a seconda delle situazioni. Così, in Sardegna non hanno disdegnato di stare sulla stessa scheda addirittura con Rifondazione comunista, mentre in Abruzzo faranno parte del cosiddetto “campo largo”. Va tutto bene, per carità, ma gli elettori poi ti pesano. Come pesano anche i nomi di quelli che metti in lista.
Oggi, sui muri della Sardegna cominciano a scolorirsi i manifesti con la faccia di Giorgia Meloni. Dicono che sono talmente tanti che qualcuno ha pensato che fosse lei la candidata a guidare la Sardegna. Non ha fatto bene i suoi calcoli e i sardi l’hanno … pesata