C’è una crisi di rappresentanza: evidente e preoccupante. Le ultime elezioni regionali, nel Lazio e in Lombardia, hanno ampiamente dimostrato un distacco dalla politica di proporzioni crescenti. Un fenomeno che si può leggere in tanti modi, nessuno dei quali confortante. I rapporti si sono ormai invertiti e, mente prima la maggior parte della popolazione partecipava al voto, adesso sceglie di farne a meno. I partiti non sono apparsi turbati più di tanto, specie quelli premiati dalle urne.
L’importante è esserci; poi al resto si penserà. Vero è che tutte le democrazie rappresentative sono attraversate da un diffuso calo di interesse alla vita civica e alle sue forme partecipative. La politica non gode di buona fama e così i politici; sempre più accostati a forme deteriori di parassitismo. Ci si astiene dal voto, forse per disgusto o per protesta e, estraniandosi dal giudizio, ci si allontana dalla politica, consegnandola agli apparati dei partiti. Il fenomeno riguarda gli elettori di ogni età e classe, pur risultando maggiormente accentuato nei giovani, coloro che, se non altro per ragioni anagrafiche, più degli altri dovrebbero interessarsi al futuro. Appaiono sfiduciati e rinunciatari, almeno nella possibilità che lo Stato possa fare qualcosa per loro; alcuni rivendicando la propria fetta di assistenza come atto dovuto di perequazione sociale.
Le politiche giovanili non possono però essere passive e assolversi nell’elargire redditi peraltro economicamente insostenibili. Insegnare a pescare rimane pur sempre più utile che non sfamare per un solo giorno il bisognoso. Il reddito da lavoro ha una sua dignità sociale prima ancora che economica. La comunità si costruisce unendo le forze e contribuendo, in giusta misura, a sostenerne individualmente i bisogni. Il patto sociale si regge sul mutuo sostegno dei cittadini, attraverso un accordo condiviso, sentito prima che imposto.
I sistemi di tassazione, sempre criticabili nelle loro scelte, rivelano orientamenti e sensibilità politiche dei governanti. La riforma che punta alla Flat Tax, anticipata da una proposta di riduzione a tre scaglioni di reddito su cui applicare le relative aliquote, è chiaramente indicativa di cosa si intende per categorie agiate. Applicare l’aliquota più alta (43%) a redditi annui di 50.000 euro lordi, significa che chi vive con poco più di 2800 euro netti al mese, stipendio o pensione che sia, è considerato ricco! Non c’è molto altro da aggiungere, per capire da che parte stare, a meno di non credere alla favola dell’aliquota unica, con cui si abolisce d’ufficio la povertà, perché finalmente tutti cittadini pagano allo stesso modo e, quello che non versano allo Stato con le tasse, rientra coi consumi. Naturalmente per chi può permetterseli.
Politica, economia e società sono diventate entità reciprocamente esclusive e mutuamente estranee; si direbbe chiamate in causa da proclami rivendicativi di un sindacalismo nostalgico quando non da economisti velleitari o politici ostinatamente possibilisti, indipendentemente dai contesti narrativi. Eppure le ricette per un minimo di giustizia fiscale non sono così terribilmente complesse come si vorrebbe far credere, partendo da quelle rendite finanziarie, di cui godono le economie parassitarie, attente più ai profitti che agli investimenti.
Ma in tutto questo, i giovani da che parte stanno, cosa pensano, cosa dicono. Si può davvero pensare di escluderli da processi decisionali che li riguardano in prima persona e di cui dovrebbero essere protagonisti. Su di loro graveranno i costi di una spesa pubblica già pesante e, al limite della sostenibilità. Senza una ripresa economica robusta, il sistema sociale dovrà mettere in conto di ricorrere al debito, per assicurare il necessario al funzionamento del Paese. C’è quindi una forte ipoteca sul futuro dei giovani che devono perciò intevenire nella dialettica politica e far sentire la loro voce nelle scelte del governo.
Non c’è politica senza giovani e perciò è importante e urgente che INSIEME promuova e avvii iniziative per sollecitare e stimolare la loro partecipazione ai dibattiti pubblici, ai confronti d’opinione e a tutte quelle manifestazioni di interesse che riguardano la vita di un Paese moderno e democratico. Ci sono temi su cui è fondamentale acquisire la loro opinione, per capire da che parte va, o ha intenzione di andare.
Oltre che sui temi dell’ambiente e dell’ecologia, dove maggiormente si spendono, cosa sappiamo di cosa pensano i giovani dell’autonomia differenziata, della maternità surrogata, dell’affidamento dei minori alle coppie omosessuali, del lavoro, dell’economia, della guerra in Ucraina, del reddito di inclusione o di cittadinanza, delle politiche fiscali e via dicendo. Avviare un tavolo di confronto è quanto mai necessario se si vuol ricucire quella lacerazione sociale che l’astensione ha così chiaramente messo in evidenza.
Non abbiamo altro da offrire se non l’interesse e il rispetto delle opinioni di chi domani, avrà la responsabilità di decidere il destino degli Italiani e magari non solo, per cui è bene che sin da oggi si preparino e si abituino a interssarsi della cosa pubblica, familiarizzando coi temi etici oltre che economici, cioè imparando a farsi carico di quei problemi che riguardano l’amministrazione dello stato e delle politiche di governo.
Sono temi di grande rilevanza pubblica che non possono essere lasciati all’improvvisazione, richiedendo viceversa una preparazione specifica e un addestramento che fa dell’impegno politico, oltre che una forma esigente di carità, una scelta di civiltà.
Adalberto Notarpietro