“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”: così recita l’ articolo 67 della Costituzione repubblicana.
Il parlamentare non risponde al partito che lo ha candidato, non risponde alla circoscrizione territoriale in cui è stato eletto, non risponde alla famiglia culturale in cui pur si riconosce, non risponde a nessuna forma associativa o categoriale che sia espressione di legittimi interessi che pur legittimamente si organizzano nella società civile.
A chi risponde, dunque, il parlamentare? Risponde al suo senso di responsabilità politica ed istituzionale che, ovviamente, viene messa alla prova e viene esercita nel complessivo accadere degli eventi. Risponde a quella “intelligenza” delle cose attinenti la sua funzione che è tenuto a coltivare, secondo regole di oggettività, senza cedere all’alea delle onde emozionali o degli stereotipi ideologici che così facilmente falsano i nostri giudizi. Andrebbe riscoperta quella che potremmo chiamare una sorta di “ascesi” del politico e dell’ azione pubblica che è chiamato ad esercitare.
La necessità e l’urgenza di un lavoro su di sé, di una cura attenta che chi rappresenta la Nazione intera deve esercitare nei confronti di sé stesso, custodendo un corretto uso della capacità critica e di quell’ autonomia di giudizio, cui ha dato fiducia, esprimendogli il proprio consenso l’ elettore che lo ha prescelto tra gli altri. Risponde, insomma, alla sua retta coscienza che è autorizzato – anzi, tenuto – a coltivare e rivendicare in termini di libertà.
Libertà di coscienza, dunque – e, quindi, anche qui, primato della “persona” che, nella libertà tocca il punto più alto di sé – come fondamento della nostra convivenza civile e della sua stessa legittimazione costituzionale. Senonché – e la vicenda Bigon è lì a dimostrarlo – della libertà di coscienza si è dimenticato anche il PD. Non succede a caso.
Si tratta, con ogni probabilità, del versante di un’ involuzione che non concerne solo il PD, ma la fisionomia più generale del nostro sistema politico. Si potrebbe dire – ma la questione andrebbe molto approfondita – che la libertà di coscienza non viene più riconosciuta anche perché, a monte, è la “coscienza”, come tale, cioè quella consapevolezza delle questioni in gioco sovraordinata alla loro mera e meccanica valutazione quantitativa, quella dimensione di saggezza che sfugge ad una asettica analisi aritmetica, a non essere più fruita come categoria interpretativa di ciò che accade nel mondo.
Domenico Galbiati