Pierluigi Castagnetti riunisce oggi l’Associazione “I Popolari” dopo un lungo periodo che Nino Labate definisce silenzioso e “in disparte” (CLICCA QUI). Ma i risvegli possono essere sempre utili.
Anche se, nel frattempo, è cambiato il mondo e si deve, dunque, fare uno sforzo in più per ragionare sul senso di una presenza, storicamente e culturalmente ben più che fondata, in un contesto durante il quale il bipolarismo ha praticamente estromesso ogni forma d’impegno pubblico basato su di un pensiero politico.
E sarà interessante vedere se con l’incontro di oggi comincerà una riflessione sulle responsabilità che in molti, pure tra i cattolici democratici, quindi non solo “I Popolari” di Castagnetti, si sono assunti per aver sposato a lungo la mentalità bipolare e contribuito, così, all’impoverimento del dibattito politico. Assieme alla rinuncia a portare, in quel poco che c’è stato di confronto, la specificità del patrimonio rappresentato, appunto, dal popolarismo che significa solidarismo e capacità progettuale tesa ad assicurare la coesione sociale e, quindi, rafforzare il processo democratico e la partecipazione. Non si tratta di chiedere un’autofustigazione, ma di fare tesoro di errori e di ritardi, in modo che il risveglio, per quanto tardivo, si trasformi invece in una effettiva capacità nel portare una voce antica, ma nuova, originale e, persino, alternativa ad un intero sistema politico completamente collassato. E le responsabilità del collasso stanno a destra come a sinistra.
E’ vero, come dice Labate, che Castagnetti si trova di fronte ad un compito arduo per le frammentazioni e le gelosie- Io c’aggiungerei anche ampie tracce di ripiegamento su prospettive individuali e di gruppo, che hanno finora reso impossibile la convergenza in un’azione comune in grado di segnare un’autonoma novità in un mondo politico che, invece, preferisce coltivare vecchie abitudini e pensare solamente a quel sistema dei partiti personali che ci scodellano sempre dei “nominati” e non dei veri eletti in rappresentanza di popolo e di territori. In questo senso, una riflessione anche sulle responsabilità che molti si sono assunti per il non aver voluto lavorare ad una serie riforma dei partiti, e quindi sulla inderogabile necessità di avviarsi già con il superamento dell’attuale legge elettorale, non ci starebbe proprio male. Ampie sono le responsabilità sul diffondersi dell’astensione e di un diffuso sentimento popolare che guarda con disgusto alla politica.
Ma queste manchevolezze, ed altre, non si risolvono solo con l’incontrarsi tanto per incontrarsi, e così facendo avere comunque l’occasione di riscoprire le tante cose che accomunano. Neppure sviluppando quegli utili strumenti di comunicazione di cui parla Nino, la cui mancanza contribuisce a spiegare ritardi e manchevolezze tra la stragrande maggioranza dei gruppi e delle organizzazioni che si dicono popolari. Ma la soluzione non sta solo nella comunicazione, così come in una pulsione organizzativistica.
Come abbiamo scritto nel Manifesto Zamagni (CLICCA QUI) c’è bisogno di rendere attuale oggi il “pensiero forte” cui tutti ci colleghiamo e dì avere la capacità di renderlo proposta politica in relazione alle condizioni antropologiche, culturali e socio-economiche dell’Italia di oggi. Questo significa rendere vera una propria specifica presenza, che non dobbiamo avere reticenza nel definire autonoma, tesa alla riscoperta e alla riproposizione con forza del “personalismo”, e così non lasciare la difesa della Vita alla destra cattolica conservatrice, non a caso passata con armi e bagagli da Salvini alla Meloni. Significa ritornare ad occuparsi del lavoro per superare i decenni in cui, partecipi con il centrosinistra, si è finiti con il favorire, o con il non contrastare adeguatamente, la precarietà e la perdita di peso specifico da parte di tutti i lavoratori, siano essi dipendenti o autonomi. Significa preoccuparsi del sistema educativo, scolastico e della formazione verso cui è stato tanto latitante un intero paese.
Il popolarismo in Italia è nato anche per le novità che seppe portare, prima con Sturzo, e poi con De Gasperi, attorno a due altri punti tornati dolenti per questa nostra Italia. Mi riferisco alle questioni istituzionali, in generale, e a gran parte dello svuotamento del ruolo del Parlamento e, in particolare, a quella delle autonomie amministrative. Mortificate anche nei lunghi periodi durante i quali pure personalità che possiamo collegare al popolarismo hanno partecipato, dentro il centrosinistra, alla guida del Paese. Infine, i popolari non possono dimenticare quanto il Mezzogiorno segni la grande latitanza della politica nei confronti delle disparità sociali e geografiche.
Le mozioni degli affetti e le generiche disponibilità a convergere, da un pò di tempo proclamate e poco praticate, non bastano più. E’ necessario uno scatto di generosa fantasia politica per costruire un’autentica alternativa ad una Politica che non serve più al Paese nella piena consapevolezza che è giunto il momento di abbandonare la pratica di mettere le tende, per di più in funzione marginale, negli altrui accampamenti. E, quindi, consapevoli di ciò, definire una progettualità autonoma in grado davvero di riconsegnare a questo Paese un nuovo orizzonte di rinascita e rigenerazione.
Giancarlo Infante