“È colpa di Draghi”, sussurrano a destra per i ritardi nel PNRR, irritando non poco il pur compassato ex Presidente del Consiglio e della Banca Europea che, invece, aveva lavorando seriamente. Cogliendo in contropiede chi si aspettava non polemiche, ma i primi segnali concreti del nuovo governo.
Dietro ciò torna la domanda: siamo con l’Europa oppure no?, visto che in politica alla fine contano i fatti. Le dichiarazioni di confermata adesione e d’intenti fedelmente europeistici sono una cosa; altro è constatare ciò che accade. E un esempio è, appunto, la gestione dei fondi del PNRR.
Lo sapevamo tutti che sarebbe stato difficile avere certezze sul completamento degli investimenti generosamente finanziati da Bruxelles. Le diatribe tra Governo, regioni, comuni, burocrazie varie e organi di controllo appartengono da sempre al nostro DNA.
La Commissione europea al riguardo non ha mai scherzato, precisando in ogni occasione che per avere i fondi dobbiamo garantire l’esecuzione concreta degli interventi e non solo avere i programmi. Non è un caso quindi che l’erogazione della terza “tranche” del finanziamento sia stata rinviata.
È lecito chiedersi, a questo punto, se è il sistema che non funziona oppure se “ chi sostiene che il Piano è in ritardo, non capisce come funziona” (così il professor Giavazzi su “Affari Italiani” del 30 marzo).
Un altro esempio è la ratifica del MES, il Fondo salva Stati modificato in meglio su proposta italiana, già ratificato da tutti i parlamenti degli Stati dell’Unione ad eccezione dell’Italia, circondata e isolata in Europa.
E ancora: le riforme incompiute. Quella del fisco che, già era pronta con Draghi, è approdata da poco, rivista, al decreto legislativo; quella della giustizia è a mezz’acqua e quella sulla concorrenza (balneari in particolare) è incagliata.
Per non dire dello stop ai veicoli a diesel e benzina dal 2035, una decisione della Commissione europea che ha visto l’Italia astenersi. Bruxelles tira diritto e non prende ancora in considerazione la nostra proposta di inserire i biocarburanti tra i combustibili verdi. Ecco a che punto è il nostro europeismo.
Anche sul piano politico i rapporti del centrodestra italiano con gli altri schieramenti nel Parlamento europeo sono ambigui. Si parla di un possibile fronte unico con i popolari, che sono sempre stati al governo nell’Unione, ma oggi proprio loro sono profondamente divisi su tutto: dai problemi delle immigrazioni ai diritti civili; dalle politiche ambientali al welfare.
Può darsi che esista lo spazio per uno schieramento conservatore in Europa, viste le tendenze dell’elettorato che chiede sicurezze e protezioni, ma i toni di malcelata aggressività (Salvini) o di ambivalenza, e a volte quasi elusivi, della destra italiana non sembrano certo deporre a favore dello schieramento che piacerebbe alla nostra Presidente del Consiglio. Quanto ai centristi italiani, da Forza Italia al “Terzo polo”, per non dire di quelli tedeschi in minoranza a casa loro, non pare proprio possano essere determinanti.
Le sirene delle elezioni europee del prossimo anno potrebbero indurre parte dei popolari europei ad accordi con la Meloni. Con il sapore, come al solito, della convenienza e dell’espediente … pur di governare.
Guido Puccio