Oggi, Giorno della Memoria, il ricordo dei sei milioni di ebrei trucidati, nel cuore dell’Europa, nei campi di sterminio nazisti, cade nel pieno dei combattimenti nella striscia di Gaza.
La reazione di Israele all’eccidio di Hamas dello scorso 7 ottobre, ha risposto con un’ecatombe ad un’altra e la sua misura, eccessiva sul piano delle vittime civili, è, per molti, il pretesto per risvegliare un antisemitismo coriaceo e feroce, espressione di un’ odio antico ed implacabile, insensato e cieco. Quasi lo si volesse legittimare, a costo di risvegliare i fantasmi cupi di una ferita che ancora sanguina e disonora chi la inferse e chi l’assecondò.
La condotta del governo Netanyahu contestata da molti anche all’ interno del suo Paese, nulla toglie al ricordo, al tributo di memoria e di solidarietà, alla condivisione di una sofferenza immane, che tutti gli uomini, il mondo intero, devono alle vittime della Shoah, al dolore indicibile di un popolo – e’ il caso di dirlo – “crocifisso”, inchiodato come Cristo al patibolo.
La sofferenza degli ebrei, la brutalità del genocidio messo in atto contro di loro da un potere fanatico e perverso è un mistero della storia, un evento che non finirà mai di interrogarci, ben oltre le ragioni di cui possono dar conto i criteri dell’ analisi culturale, chiamati ad esplorare le radici più’ antiche di un antisemitismo che ci sembra tuttora, in troppi ambienti, inestirpabile.
L’ intento dei nemici di Israele, la strategia di Hamas nulla ha a che vedere con le ragioni pur sempre deprecabili di ogni guerra, bensì, ancora una volta, mira alla “soluzione finale”, alla eradicazione di un’ intera etnia dalla faccia delle Terra.
E’ altrettanto devastante il sacrificio imposto al popolo palestinese, inaccettabile e ripugnante la morte cruenta di migliaia e migliaia di bambini, destinata a seminare germi di odio che neppure il succedersi delle generazioni potrà attenuare, se non in tempi lunghi che oggi nessuno può cogliere, neppure in un orizzonte lontano.
Eppure , dovrebbe essere l’ esperienza comune di un dolore insanabile a spingere due popoli l’ uno verso l’ altro, maturando quella più profonda consapevolezza di sé, quella coscienza compiuta del proprio posto nella storia che la sofferenza patita, dall’ una e dall’ altra parte, può fecondare.
Domenico Galbiati