Nel 1824 un grande intellettuale italiano, Giacomo Leopardi nel suo cahier de doleance sullo stato presente dei costumi degl’italiani, dopo aver constatato che i suoi compatrioti erano giudicati in base a stereotipi dagli scrittori degli altri grandi Paesi europei (Inghilterra, Francia, Germania) e che però non sapevano fare altrettanto nel conoscere le altre esperienze europee, giungeva alla conclusione pessimistica che l’Italia, “ la più vivace di tutte le nazioni colte e la più sensibile e calda per natura, sia ora per assuefazione e per carattere acquisito la più morta, la più fredda, la più circospetta ,indifferente, insensibile, la più difficile ad essere mossa dai gradi ideali”.
Solo l’Europa, cioè la rivoluzione borghese europea, giunta dalle altre nazioni (Inghilterra, Francia) diede la spinta al Risorgimento, alla rinascita, alla nuova prospettiva dell’unità nazionale prima (Gioberti, Cattaneo, Mazzini), europea poi (Einaudi, Sturzo, De Gasperi, Spinelli).
Oggi siamo in una situazione analoga? Chi lo può contestare! Chi ha pensato, e sta rimuginando, che ritornando al vecchio (lira, protezionismo autarchico, difesa della sovranità statuale ormai superata sia dall’alto che dal basso) potrebbe riconquistare i consensi persi (astensionismo) in Europa e in particolare in Italia, o meglio di quegli italiani che non vivono di “privilegi” legati alla chiusura delle caste a livello nazionale: come l’ indotto della politica “municipale”, cioè romanocentrica (imprese pubbliche ex monopoliste – servizi universali, banche, trasporti – ora infeudate dal sistema della ricerca del consenso a breve, ordini corporativi, sistemi di welfare – sanità, istruzione, ricerca – volti non all’efficacia, ma a mantenere la “ pace sociale”) scaricando sulle generazioni future i costi della non efficienza, credo si ricrederà.
Solo più Europa, vera Europa, un’ Europa governata democraticamente, cioè in prospettiva un governo federale, può salvare noi italiani, e, salvando noi, salvare se stessa.
Ma attenzione: salvare non vuol dire aiutare paternalisticamente, rimedio peggiore del male, perché induce a mantenere lo status quo, senza obbligo a modificarlo. Vuol dire vincolare! Concertare azioni di miglioramento in cambio di sostegno nella fase di transizione, concordare piani di risanamento da monitorare, verificare, rivedere e se del caso sanzionare se non rispettati. Non si fa così quando si “rieduca” un adolescente riottoso a migliorarsi?
L’importante e che ciò non sia imposto dal fratello maggiore, più ricco, più avvantaggiato perché essendo più vecchio ha agito per primo, e che quindi non “abusi” del suo vantaggio per sopraffare gli altri fratelli, per primeggiare a scapito dei più deboli, o anche soltanto per “controllare” unilateralmente l’andamento della “famiglia europea”. Il rischio che gli altri fratelli, invidiosi si alleino (vedi Visegrad) contro di lui e trasformino la famiglia in una guerra “economica” fratricida è purtroppo nel nostro DNA di europei sin dal 1600 (guerre di religione).
Allora come contestare le derive antieropee, sia di matrice nazionalista, che populista, che “benaltrista”?
Evidenziando che senza le “acquisizioni europee” (il ben noto acquis communautaire) spesso visti come “vincoli europei”, l’Italia non si sarebbe mai trasformata in un Paese pronto alla competizione globale.
Il diritto dei consumi, commerciale, telematico, le politiche delle reti di trasporti, di ricerca avanzata, di qualità dei prodotti, figlie delle direttive comunitarie, non si sarebbero sviluppate in un Paese con governi che, nell’introdurre l’euro, lasciavano che la piccola distribuzione aumentasse inopinatamente i prezzi, contando sulla debolezza dei consumatori, che le imprese pubbliche venissero donate a gruppi di controllo rivelatisi inefficienti e spreconi del denaro dei cittadini, che anziché creare infrastrutture di comunicazione degne dell’Europa, lasciavano che i gioielli di famiglia (Telecom, Alitalia, Finmeccanica) fossero feudi di correnti partitiche utili alle lotte interne, che programmano una sostituzione dei professori universitari che sia “a costo zero” e avvenga in tempi biblici, così da non gravare sul già magro investimento in formazione e ricerca, mentre altri Paesi come la Finlandia, ed ora alcuni Paesi est europei, puntando sulla formazione e la ricerca stanno recuperando competitività e creando una struttura burocrartica pubblico-privata di livello europeo.
Come far capire ciò ai cittadini italiani in vista delle prossime elezioni europee che non devono diventare un referundum sul sì o no alla pace , ma sul sì o no alle acquisizioni europee ed alla loro trasformazione in una piattaforma per la fase successiva della creazione di un vero governo democratico europeo?
Spesso ignorati sono i soggetti collettivi, che hanno interessi a dimensione europea, a volte organizzati in modo spontaneistico o volontario e che vedono gli svantaggi di politiche a dimensione nazionale.
a) I giovani studenti che vedono il loro futuro compromesso dalle politiche nazionali “d’emergenza” o da gruppi sociali che presidiano interessi conservativi e che vorrebbero non una rivoluzione “giovanilistica”, ma una patto generazionale che leghi le loro aspirazioni ad un futuro, certo fondato su capacità, competenze, merito, ma anche su prevedibilità, incentivi e opportunità. Sono gli studenti universitari con vocazione europea, gli Erasmus (Europe e Mundus), i giovani con diplomi tecnici, i giovani manager che hanno dovuto scegliere di operare all’estero, depauperando l’Italia di risorse intellettuali (capitale umano) ed economiche (un laureato classico dalla scuola primaria al postlaurea costa 150.000 euro, uno scientifico sino a 300.000 euro), donate a imprese e in futuro a pubbliche amministrazioni extraeuropee, che quindi non creeranno posti di lavoro in Europa, ma altrove, diventando spesso “apolidi”, con enorme spreco di investimenti in formazione e in risorse sociali.
b) I consumatori organizzati, in Italia oltre 300.000, in associazioni di origine volontaria, sindacale e legale, che hanno sviluppato la loro rappresentanza sulla base del diritto europeo del consumo (dalle direttive comunitarie degli anni ’90, al codice del consumo del 2005) e che hanno trovato resistenze alla rappresentanza nei partiti, “gelosi” dei loro collegamenti esclusivi con la società civile e della loro maggior “credibilità” sociale e che ora scontano la “distrazione” della Commissione europea dedita ad altri temi o rappresentata da personaggi scelti in quanto politicamente “deboli”.
c) I giovani extracomunitari acculturati di seconda generazione, italiani a tutti gli effetti che scontano o i pregiudizi antistranieri o l’indifferenza verso un capitale umano prezioso per le nostre attività all’estero: potrebbero essere gli ambasciatori delle nostre imprese nei mercati globali e creare nuove opportunità e nuovi posti di lavoro. Invece a volte non votano o non sono rappresentati politicamente, mentre l’Europa è per loro la prospettiva di riferimento.
d) I soggetti di ceto medio che improvvisamente si ritrovano senza ruolo lavorativo e che vedono che i partiti sinora hanno tutelato chi ha diritti (di lavoro, di cittadinanza, di voto) e non chi ha potenzialità (di riconversione lavorativa, di creatività, di attività socialmente utile).
Per questi occorre fare opera di informazione, dibattere i loro problemi e decodificarli in termini politici per fornire loro una rappresentanza a livello europeo, nazionale e regionale.
Partendo dal viatico di grandi europeisti:
“Una Germania federale troverebbe finalmente normali prospettive di vita e di sviluppo e potrebbe integrarsi al bene comune dell’Europa mettendo all’opera le risorse proprie del suo genio” (J. Maritain, De la justice politique, 1940).
“I popoli europei dovranno conoscersi e unirsi per gettare le basi di un comune Risorgimento”, (Gruppo giovanile della “Rosa Bianca”, 1942).
“Se si esamina da vicino il bagaglio mentale dei partiti democratico-cristiani si incontra la civiltà cristiana, il mondo libero, la solidarietà europea, l’integrazione economica, l’anticomunismo” (Altiero Spinelli, Il vino nuovo negli otri vecchi, 1960).
Viatico che, in una fase di riflusso europeo, i democratici liberali responsabili hanno il dovere di seguire e divulgare.
Oreste Calliani
Pubblicato su www.associazionepopolari.it