E’ molto probabile che a Palazzo Chigi e dintorni sentano più alto il rintocco della campana che, secondo molti analisti, potrebbe finire per suonare anche per noi. Rintocchi che si diffondono per tutte le contrade del Paese ben più di quanto ne diano resoconto gli organi d’informazione, e ne siano pienamente avvertiti molti politici che, di solito, ignorano quanto quei rintocchi si confondono con quelli che giungono dall’Europa e dal sistema bancario – finanziario internazionale. Non si tratta di suoni rassicuranti sulle condizioni reali in cui siamo ridotti e che rischiano di rivelarsi, ancora peggio di quello che sono, già a partire dal prossimo settembre.
Anche molta stampa, dopo l’ubriacatura “meloniana”, vera o interessata che fosse, e ancora sia, comincia finalmente a parlare sempre più apertamente di conti che non tornano. A poco servono le patetiche fantasticherie sui cartelli che dai benzinai dovrebbero indicare i prezzi medi praticati in ogni regione. Un’idea così puerile che fa a tutti dire della sua inutilità. Di sicuro, non servono a tenere giù i prezzi della spirale speculativa che non è quella, come ha provato a giocarci sopra qualcuno del Governo, da addebitare agli esercenti, ma ad un cartello vero e proprio dei produttori e distributori del carburante che fa schizzare oltre i due euro il costo per litro, a dispetto del più leggero aumento del costo del barile alla produzione.
Il Governo non rinnova il taglio delle accise, rimangiandosi le tronfie promesse di autorevoli esponenti della maggioranza di qualche tempo fa. Il Ministro Urso dice che se gli aumenti continueranno o resteranno tali, se ne parlerà il prossimo anno. La verità che Meloni e soci hanno bisogno di fare cassa per vedere se riescono a produrre una finanziaria che dovrebbe valere tra i 25 e i trenta miliardi di euro. E così gli italiani vengono salassati andando e tornando dalle vacanze. E non è vero che i modesti interventi per tagliare il cuneo fiscale compensino. Anche perché di quel taglio non beneficiano proprio tutti. Di certo non i milioni e milioni di pensionati.
Come siamo in grado di vedere tutti i giorni, la benzina non costituisce il solo problema per le entrate degli italiani. Con la ripresa sono già, del resto, attesi altri rincari, a partire da quelli che, si sa già, riguarderanno i libri di testo scolastici. E in questo contesto, dove l’inflazione effettiva è data in calo solo dai telegiornali, si ha l’impressione che il Governo continui solamente a raccontare un Paese che non coincide pienamente con l’immagine offerta a piene mani nel tentativo di rendere credibile una politica che, per ora, non ha portato grandi risultati, e che resta fortemente condizionata. Ciò lo si vede evidente nel caso dell’arrivo degli immigrati, dagli impegni assunti in sede europea.
A questo proposito, c’è da aspettare, però, ancora qualche giorno per sapere come andrà a finire l’altra storia che riguarda le entrate di cui il Governo è alla ricerca spasmodicamente in questi giorni. Cioè quella della tassa sugli extraprofitti per le banche. Un provvedimento che, molto probabilmente, verrà contestato dalla Banca centrale europea. Il Governo infatti era vincolato dall’obbligo previsto dalla Decisione del Consiglio Europeo del 29 giugno 1998, in base al quale è previsto un obbligo di consultazione della Bce se vengono introdotte norme riguardanti le banche in grado di influenzare “la stabilità di tali istituti e dei mercati finanziari”. E secondo quello che trapela da Francoforte, la BCE potrebbe ritenere l’imposta straordinaria appena decisa una “misura rischiosa” per l’economia e il credito. Possibile che quel codicillo fosse sconosciuto ad un Governo tanto intenzionato a “rovesciare l’Italia come un calzino” o siamo autorizzati a pensare che il provvedimento sia stato voluto e fatto solo per sollevare un po’ di polverone? E poi provare a prendersela con la Bce e l’Europa.
Questo ed altri sono dunque i motivi per cui è inutile chiedersi per chi stia suonando la campana … potrebbe farlo pure per noi.