Iniziamo la pubblicazione dei primi risultati del Gruppo di lavoro costituito da Politica Insieme su “Organizzazione dello Stato ed autonomie locali” cui hanno portato il contributo anche amici di altri gruppi e organizzazioni ed esperti del mondo cattolico. Il coordinamento dei lavori del gruppo è stato svolto da Alessandro Diotallevi. Questo primo contributo riguarda i Diritti dei cittadini, partecipazione democratica e disciplina dell’attività politica
Il Gruppo di lavoro “Organizzazione dello Stato ed autonomie locali”, coordinato dall’avv. Alessandro Diotallevi, ha potuto raggiungere un elevato grado di condivisione sulle proposte raccolte in questo documento, traendo spunti essenziali dal contributo offerto dai costituenti democratico-cristiani e dall’elaborazione emersa in tema di riforme istituzionali maturata dal cattolicesimo politico a partire dagli anni Settanta e Ottanta (Mortati, Elia, Ruffilli, etc.).
Il punto di partenza di questa proposta è una condivisa valutazione del processo storico che ha portato all’attuale crisi della democrazia italiana, resa ancora più acuta in questi mesi di emergenza sanitaria, pur prescindendone quanto all’ispirazione generale che la governa, valida e necessaria già da molti anni.
Ne è emerso un primo conciso progetto, che non ha naturalmente pretese di esaustività, ma coltiva l’ambizione popolare di trasformare l’attuale forma di governo, in coerenza con le linee-guida del Manifesto di Politica Insieme. Ne costituiscono fondamenta ed architrave i presìdi solidaristici, personalistici e liberal-democratici della Carta del 1948, i soli in grado di ravvivare la partecipazione democratica, assicurare efficienza e stabilità al sistema politico e rafforzare l’etica pubblica. Princìpi e valori che costituiscono il tessuto connettivo di ogni democrazia moderna, gli ingredienti del suo successo nella competizione globale, ma soprattutto l’inveramento permanente, nel tempo e nello spazio, del principio dell’APPARTENENZA DELLA SOVRANITA’ AL POPOLO, cui deve tendere nel presente momento storico un’azione politica cristianamente ispirata.
Consapevoli del complesso e ricco patrimonio di equilibri su cui si reggono le istituzioni repubblicane e delle numerose fragilità evidenziate al contempo nei lunghi decenni di vigenza del testo del 1947, da ultimo platealmente emerse a causa della pandemia, il Gruppo di lavoro si è posto di fronte all’esigenza di una rifondazione dal basso del potere democratico, nel segno di quel principio di sussidiarietà radicato nella cultura politico-istituzionale del cattolicesimo democratico e popolare, giacchè proprio nella sovranità popolare risiede la manifestazione primigenia della sussidiarietà.
Ci si è mossi da una premessa logico-giuridico-costituzionale che ci consentisse di individuare, dopo averne esaminate le varianti astratte e concrete, un assetto istituzionale che desse certezza di un miglioramento sostanziale delle modalità di funzionamento della democrazia. Siamo approdati ad un riconoscimento, seppur critico, della funzione insostituibile dei partiti attraverso una piena attuazione all’articolo 49 della Costituzione e, contestualmente, nel segno dell’insegnamento di Roberto Ruffilli, ad un riassetto delle istituzioni di vertice della nostra Repubblica, cercando di evitare – con quel “realismo cristiano” che fu la cifra più profonda del suo metodo riformatore – la tentazione anti-politica della “semplificazione” a tutti i costi.
Per questo abbiamo cercato di fare nostri in questo lavoro i suoi lucidi ammonimenti verso una “visione alla fine taumaturgica della politica” e verso i rischi di una delega “ai tecnici e agli onesti senza l’assunzione delle responsabilità dei singoli e delle formazioni sociali”.
Conseguentemente, il percorso che qui si propone, per capi principali, non è quello dello stravolgimento dell’architettura istituzionale ma di una sua razionalizzazione attraverso il rafforzamento del ruolo del presidente del Consiglio, che assume pleno iure la qualifica di Primo Ministro e della sua capacità di direzione, potenziandone la rappresentatività e la responsabilità rispetto al Parlamento, all’opinione pubblica ed al Paese, anche attraverso il ricorso all’istituto della sfiducia costruttiva, nella perdurante conservazione del principio della sovranità popolare, gravemente insidiato dal suo travisamento populistico e qualunquistico in atto nell’odierno contesto politico ed istituzionale.
Il mantenimento della forma di governo parlamentare resta, a parere del Gruppo di lavoro, un punto fermo che richiede tuttavia aggiustamenti e razionalizzazioni, dando piena attuazione all’ordine del giorno Perassi all’Assemblea Costituente.
La TRASFORMAZIONE alla quale aspiriamo non ci rende sostenitori di una nuova forma di governo (secondo l’abusata propensione gattopardesca in servizio permanente nella classe politica del tempo della grande crisi di funzionamento del Paese) ma di un pieno sviluppo dello spirito proprio della Costituzione repubblicana nel segno della lezione e della esperienza di governo di De Gasperi, attraverso il rafforzamento del ruolo del Primo Ministro di cui si è detto e di una riforma del bicameralismo che valorizzi le potenzialità di un Parlamento bersaglio di una perdurante deminutio di spazi istituzionali e di prerogative nel corso degli ultimi venticinque anni.
Il rapporto è suddiviso in tre paragrafi: 1) Diritti dei cittadini, partecipazione democratica e disciplina dell’attività politica; 2) Parlamento e Governo; 3) Rapporto Stato-Regioni; 4) Regole per l’attività politica, i partiti ed il loro finanziamento.
Diritti dei cittadini, partecipazione democratica e disciplina dell’attività politica
Il Gruppo di lavoro muove dalla convinzione che il potenziamento dei diritti dei cittadini e della partecipazione democratica costituisca un pilastro fondamentale per rinnovare la democrazia e la vita pubblica.
Nella cosiddetta Seconda Repubblica, gli apparati di partito si alleggerivano a tutto vantaggio dell’accentramento del potere nei vertici per molti fattori coincidenti, due dei quali di assoluta evidenza: quello della competizione “leaderistica” imposta dal sistema maggioritario, e quello di un affievolimento intrinseco della volontà di partecipazione degli iscritti al dibattito politico nel suo formarsi di base. Quando gli elettori finiscono per scegliere indirettamente persino il presidente del Consiglio (il leader della coalizione maggioritaria), nei partiti si crea un’identificazione fortissima tra il “capo” e il soggetto politico che egli guida. Ecco i partiti “personali” (pure nella denominazione, in cui compare il cognome del fondatore) o sostanzialmente identificati con il proprio leader. Partiti senza popolo, a giudicare dall’essiccamento delle iscrizioni, peraltro mai del tutto genuine nella storia partitica italiana.
Anche nelle forze politiche organizzate su base democratica, le strutture di vertice hanno acquisito un peso inedito e abnorme, soprattutto dopo che il vigente sistema elettorale ha di fatto delegato loro la scelta dei parlamentari.
Va poi rimarcato che gli episodi di corruzione e malcostume – come le cronache hanno ampiamente dimostrato – sono ancora aumentati negli ultimi anni caratterizzati a tutti i livelli dalla deriva personalistica. Inoltre, in quelle formazioni che si sono avventurate sulla via delle conte congressuali del consenso interno, i “signori delle tessere”, certo ridotte nel numero ma forti delle loro proiezioni di potere (stabilite negli statuti) hanno mantenuto inalterato il loro ruolo.
I guasti in successione delle diverse degenerazioni hanno riproposto e ulteriormente radicalizzato il discredito dell’opinione pubblica verso i partiti e la politica (accomunati nella percezione pubblica) , con il rischio di coinvolgere la stessa democrazia difficilmente distanziabile in sede di squadernamento delle responsabilità, in giro per le piazze “social” ed in presenza di azioni politiche mirate al suo depotenziamento agli occhi delle persone.
Se non si vuole cadere nel baratro della caduta dell’intelligenza, la condizione essenziale per recuperare credibilità al sistema democratico consiste nel realizzare la regolamentazione giuridica dei partiti. I tre principi che devono guidare le norme del loro status giuridico sono la democraticità, la trasparenza e la sobrietà.
La Costituzione definisce il partito come una associazione di cittadini che si impegnano con metodo democratico a determinare la politica nazionale (art.49). Con il tempo, questo carattere di libera e nobile associazione politica si è affievolito tanto nella realtà quanto, e molto di più, nella percezione dell’opinione pubblica. L’insoddisfazione per le prestazioni del sistema politico si è indirizzata, come in tutti i periodi di crisi, principalmente contro i partiti, fino al prodursi di fenomeni di movimenti dichiaratamente antipolitici la cui permanenza al governo del Paese ha prodotto la crisi attuale.
La rilegittimazione dei partiti politici come strumento a disposizione di tutti i cittadini per partecipare alla vita politica del Paese passa attraverso un loro rinnovato orientamento verso il bene comune e la responsabilità nazionale, ma decisiva è la determinazione dei caratteri minimi degli statuti che possano rassicurare il cittadino in ordine alla struttura e alle finalità di ciascuno.
Tale esigenza ha trovato concretizzazione nella legge n. 96 del 2012 sul finanziamento dei partiti che all’art. 5 impone di trasmettere ai presidenti delle Camere tanto l’atto costitutivo quanto lo statuto “conformato a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti”.
E’ previsione generica e genericista, inconcludente e facilmente aggirabile, nel suo dar luogo ad incertezze e contenziosi. Pertanto, in questo caso la “trasformazione” consiste nell’operare a che ogni statuto preveda, per rispondere ai requisiti di democraticità richiesti dalla Costituzione, i seguenti principi e criteri direttivi:
- a) che gli organi dirigenti siano elettivi e non si possa mantenerli in regime di prorogatio per più di tre mesi;
- b) che le procedure deliberative prevedano adeguata interazione tra iscritti e dirigenti nella formazione degli indirizzi politici;
- c) che gli organi di garanzia e di giustizia interni soddisfino la disciplina generale in materia di conflitto d’interesse, nonché di terzietà, imparzialità e precostituzione;
- d) che sia istituita l’anagrafe degli iscritti e siano indicate le condizioni per l’accesso;
- e) che sia assicurato l’equilibrio di genere negli organi collegiali e nella formazione delle candidature;
- f) che ogni statuto contenga il codice delle garanzie per le minoranze;
- g) che siano stabilite le procedure tassative per modificare statuto, nome e simbolo del partito;
- h) che sia prevista l’assoluta gratuità del tesseramento per l’adesione ai partiti;
- i) che sia resa obbligatoria l’adozione del “modello organizzativo del partito” secondo lo schema, opportunamente adeguato, del decreto legislativo n. 231 del 2001 in tema di responsabilità penale amministrativa degli amministratori delle società;
- l) che sia statuito, per legge, l’obbligo per i partiti politici di elaborazione, nell’ambito della previsione costituzionale di cui all’art.49, di piattaforme programmatiche costituzionalmente sostenibili, con l’indicazione del posizionamento rispetto alle libertà, ai vincoli internazionali e sovranazionali, e alla tenuta finanziaria del bilancio dello Stato, con un sistema di controllo affidato alla Corte Costituzionale.
Si propone altresì una nuova disciplina del finanziamento pubblico, ispirato a criteri di sobrietà, trasparenza e responsabilità, come garanzia di pluralismo e di pari opportunità di azione politica per tutti i partiti e i candidati, indipendentemente dai loro patrimoni.
Finanziamento pubblico da effettuarsi principalmente come erogazione di servizi (ad esempio disponibilità di sedi e spazi di comunicazione) e garantendo in ogni caso una equilibrata distribuzione tra organizzazioni centrali e periferiche, la cui gestione sia sottoposta al controllo della Corte dei conti.
La crisi dei partiti politici e la maggiore indipendenza della società dalla politica ha posto fine al monopolio dei partiti sulle cariche pubbliche. Personalità del mondo dell’impresa, della finanza e del credito entrano sempre più spesso nell’agone politico.
Si pone perciò il problema di prevenire il conflitto tra interessi privati e interesse pubblico da parte di coloro che sono chiamati a perseguire quest’ultimo. Il Gruppo di lavoro sostiene la necessità di una legge sulla materia costruita non sulle aspirazioni dell’una o dell’altra forza politica, ma su proposte che non possano essere identificate come mosse da spirito di parte.
L’Autorità Antitrust ha ripetutamente formulato valutazioni e proposte di aggiornamento della normativa vigente che qui si intendono richiamate. Esse possono costituire la base per impostare la riflessione che conduce alla riforma.
I gruppi d’interesse (lobbies) svolgono una legittima ma non sempre trasparente attività di pressione sulle decisioni politiche. Spesso si tratta di un’opera utile per portare a conoscenza dei decisori politici realtà frequentemente ignorate. Ma, come ha suggerito l’OCSE, è un’opera che ha bisogno di trasparenza per non diventare un mezzo per alterare la concorrenza o per condizionare indebitamente le decisioni pubbliche.
Premessa una legge sulla rappresentanza degli interessi che contenga le caratteristiche di rappresentatività compatibili con la Costituzione e con il funzionamento dello Stato, si propone una disciplina fondata su tre caratteri fondamentali:
- a) che sia istituito presso la Camera ed il Senato, presso le assemblee regionali, presso le amministrazioni locali, presso le autorità indipendenti, l’albo dei portatori di interessi;
- b) che i gruppi d’interesse abbiano diritto a essere ascoltati nella istruttoria legislativa relativa a provvedimenti che incidono su interessi da loro rappresentati, secondo quanto disposto dai Regolamenti parlamentari (v. più avanti). Questi prevederanno che i portatori di interessi coinvolti nella decisione legislativa debbano essere obbligatoriamente chiamati a partecipare all’attività conoscitiva di tutte le Commissioni Parlamentari e dell’Assemblea, senza produrre impaccio per il buon funzionamento degli organi parlamentari e dell’attività pubblica nel suo complesso;
- c) il decisore deve rendere esplicite nella relazione al provvedimento le ragioni della propria scelta e deve evitare ogni possibile situazione di potenziale o attuale conflitto di interessi.
Sempre per la tutela del rapporto di fiducia che deve intercorrere tra i cittadini e chi esercita funzioni pubbliche, il Gruppo di lavoro ritiene utile che si costituiscano presso la Camera e presso il Senato due distinte giunte per la deontologia parlamentare che vigilino sugli eventuali conflitti di interessi dei parlamentari, sulla compatibilità delle attività e delle iniziative non parlamentari di deputati e senatori sulla trasparenza delle loro attività.
Le giunte svolgerebbero un’attività consultiva anche fornendo avvisi preventivi. La linea di fondo deve essere costituita dall’attuazione dell’indirizzo fissato nei valori della “disciplina” e dell’“onore” fissati nell’art. 54 della Costituzione.
Alessandro Diotallevi