Le teorie economiche sull’assetto del sistema economico si possono raggruppare in due filoni principali: l’approccio classico-keynesiana che si rifà ai grandi economisti classici Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx e alla lezione di John Maynard Keynes e Piero Sraffa e la scuola neoclassica che domina il pensiero economico dalla fine del XIX
secolo.

La teoria classica si concentra sul calcolo della produzione in funzione della quantità di lavoro necessario e della successiva distribuzione del reddito prodotto tra rendita e salari. Nell’economia classica la rendita è parte del processo di produzione e non si configurano posizioni monopolistiche; il risultato della produzione complessiva genera un valore di utilità sociale complessivo. Keynes e Sraffa dimostrano che non tutto ciò che si produce è venduto e si ha una carenza della domanda aggregata per effetto di una diseguale distribuzione del reddito.

La teoria neoclassica si focalizza sulla natura soggettiva dei gusti dei diversi attori nell’economia, con la conclusione che tutto ciò che viene prodotto veniva consumato e i redditi sono per definizione uguale alla produzione. L’equilibrio è statico, né rendita né innovazione sono previste. Non c’è alcun criterio certo con cui stabilire se l’imprenditore crea nuovi prodotti buoni o se sta imponendo barriere artificiale per assicurarsi una rendita. Secondo gli economisti neoclassici, la distribuzione del reddito non è natura conflittuale e teorizzano un equilibrio generale che nel concreto non si è mai attualizzato. Non si tiene conto dell’utilità pubblica e le sue ricadute sulla vita della
comunità.

John Maynard Keynes, pur accettando descrizione marginalista del funzionamento del sistema economico, mette in evidenza la possibilità che la domanda complessiva di beni e servizi possa risultare minore a quella di pieno impiego della forza lavoro disponibile. Un intervento pubblico a sostegno della domanda potrebbe risultare efficace per
contrastare la disoccupazione. Nonostante ciò, non si è affermato un orientamento alternativo ai meccanismi marginalisti, anche se sono scaturite due idee implicazioni per la politica economica:
– i) la rilevanza della domanda aggregata nella determinazione dei livelli del reddito e dell’occupazione sia nel breve che nel lungo periodo;
– ii) l’esistenza di una interrelazione tra la parte reale del sistema economico, cioè la parte riguardante la produzione e il consumo di beni e servizi, e quella monetaria e finanziaria.

Stato e mercato
L’economia è il risultato di processi complessi di relazioni tra lo stato, il mercato e la società. Il mercato, nello specifico, è inserito – embedded – nelle istituzioni politiche e sociali, che si nutrono di momenti valoriali e umani (1). In quest’ottica, è auspicabile la speranza che si appalesi un futuro migliore, con la nascita di un nuovo ordinamento sociale e economico che produca a livello sistemico risultati positivi, sulla base di progetti di accrescimento di benessere personale e comunitario; di incentivi per una finanza che da speculativa si orienti a investimenti di lungo periodo di utilità sociale e della promozione di una crescita green.

L’obiettivo dovrebbe essere di rendere il sistema economico più equo senza rendite da ridiscutere di continuo. Il rapporto tra stato e mercato va regolato in maniera strutturale, con implicazioni normative e regolamentari per assicurare che tutte le attività promuovano i risultati migliori per quantità e qualità, in modo da:
– generare partnership tra pubblico e privato;
– promuovere investimenti a lungo termine;
– costituire finanziarie statali e non con scopo specifico per esplorare nuove frontiere di creazione di valore;
– deregolamentare le legge sui brevetti, con la finalità di incentivare la concorrenza che potrebbe spingere le farmaceutiche a investire nei farmaci essenziali;
– ammodernare il sistema fiscale da poter ridistribuire il reddito a favore della collettività i benefici ricavati dei grandi gruppi creati, che hanno beneficiato degli investimenti pubblici per lo sviluppo della tecnologia informatica e del web, come Apple, Microsoft, Uber, Airbnb negli Stati Uniti negli anni Sessanta e Settanta del Novecento (2).

Bisogna superare il principio di beni pubblici come correttivi del mercato per passare al concetto di beni pubblici come valore, con ricadute e benefici alla società. Lo stato non deve essere soltanto regolatore ma creatore di valore.
Karl Polanyi mette in evidenza che il mercato capitalistico è una creazione da parte dello stato, che non lo distrugge, anzi lo crea: senza stato non c’è mercato. Si dovrebbe sviluppare una regolamentazione anche sovranazionale che punti impiegare risorse in progetti fruttosi, come è accaduto, nella Tennessee Valley Authority negli anni Trenta del Ventesimo Secolo3. Anche negli anni Sessanta del Ventesimo Secolo, le politiche pubbliche sono state alla base dello sviluppo di internet, come la Silicon Valley. Non è azzardato affermare lo stato ha creato nuovi prodotti come quelli nati dalle tecnologie digitali, ricomprese con la dizione di new economy.

La visione storica tra stato, mercato e società è agli antipodi pensiero economico neoclassico. Le istituzioni e la società sono le fondamenta in cui viene nutrito il mercato per poi servire al bene comune. La responsabilità dello stato nell’economia è contrastare la rendita che sottrae alla comunità i benefici della creazione di valore. Questo rimanda ad Adam Smith che era per un libero mercato come mercato libero della rendita (4).

Le leggi dell’economia non possono andare contro quelle della società, che è opera degli esseri umani e dunque devono gestirla e cambiarla. La persona deve identificarsi con la società ed è nel contempo protagonista del sistema di mercato; non come propone l’approccio neoclassico, dove la persona si trova inserita un meccanismo dato,
separato, fuori dal proprio controllo, che configura un tipo di rapporto tra attori sociali apposto all’umano. La società umana non dovrebbe essere organizzata da un meccanismo cieco, da una economia autonoma e dominante (5).

Un approccio inclusivo e integrato deve allontanare una razionalità economizzante che rimuove il problema dell’organizzazione sociale. L’obbiettivo è una società in cui i rapporti tra le persone e il sistema economico sia il più impossibile trasparente, diretto e consapevole, permeato dalla libertà individuale e la politica democratica (6). Soltanto in presenza di un quadro di finalità e regole condivise si può addivenire ad un sistema economico integrato, in cui nella società agiscano di persone informati e consapevoli, con una prospettiva e un’aspirazione al miglioramento continuo (7).

Non solo stato e mercato ma anche società
Anche nel pensiero economico il pluralismo è una ricchezza. Forse oggi si presentano le condizioni per l’evoluzione di idee alternative rispetto all’impostazione “mainstream”. Molte posizione eterodosse sono accomunate da un forte spirito critico e da un sostanziale scetticismo nei confronti dei presunti effetti benefici del liberismo e pongono l’accento che il capitalismo, oltre produrre profitti e lavoro, per funzionare deve essere necessariamente etico.

Nuove e profonde contrapposizioni lacerano il tessuto sociale delle società: grandi città contro province povere, élite altamente specializzate contro masse di lavoratori poco qualificati, paesi ricchi contro paesi poveri. Per superare queste fratture economiche, sociali e culturali, il capitalismo deve accrescere il substrato etico, tale da innovarsi in equità e giustizia, in modo da garantire una vita degna a tutti, e non puntare solo all’efficienza e ad una crescita fine a se stessa.

Bisogna passare da approccio egoistico ad una rigenerazione della reciprocità e ridisegnare le norme nelle organizzazioni per recuperare un’identità condivisa. E’ necessario irradiare una visione etica di governo delle imprese con la tutela del rappresentanza dell’interesse pubblico negli organismi direttivi delle imprese, non perdendo di vista che le imprese hanno bisogno della concorrenza per sopravvivere.

Ci vuole una società inclusiva per ridurre il divario geografico con metropoli in piena crescita che convivono città depresse; c’è chi ha tutto e chi non riesce a farcela. Occorre agire per una rifondazione del senso di appartenenza alla società per una politica inclusiva. Il problema fondamentale è l’esistenza di un gruppo di minoranze che pretendono
di imporre i loro punti di vista alla maggioranza, conservando i divari sociali (8). Va rivista la supremazia del profitto nell’attività economica e finanziaria a vantaggio di un sistema economico basato su principi come la reciprocità, la gratuità e la fraternità. Una buona società è frutto sia di un mercato che funziona sia di processi che attivano la solidarietà. Una siffatta configurazione si ascrive al percorso denominato economia civile, che è un modo d’intendere l’economia tipicamente italiano, sviluppato nella seconda metà del Settecento, soprattutto in ambiente napoletano, identificato così da Antonio Genovesi (9).

L’uomo si nutre, unitamente ad attività economiche, di relazioni, fiducia e da virtù civili per tendere al bene comune e non soltanto alla ricerca di soddisfazioni individuali. Una pluralità degli attori contribuiscono a rendere più democratico il sistema economico, popolato da imprese profit acconto a imprese non profit, per un superamento del duopolio stato e mercato (10).

Deve rafforzarsi il principio di sussidiarietà tra stato, mercato e società, in virtù relazioni articolate secondo precise regole di governance (11). La sussidiarietà si potrebbe incentivare tramite una cessione di quote di sovranità da parte dell’ente pubblico a soggetti della società civile, in base a convenzioni e accordi. Governare questo processo significa
contribuire a rinnovare stato, mercato e società con al centro la persona nella sua specificità e una finanza funzionale al benessere collettivo, senza meri trasferimenti scollegati e avulsi da un piano di azione prefissato.

Il mercato spesso presenta forme di raggiro che contraddicono un buon funzionamento dei mercati. Ci sono forme di raggiri – “phishing” – a danno dei consumatori. I mercati presentono trappole ed esche a cui si finisce per abboccare.
La cronaca restituisce quotidianamente una serie di malfunzionamenti del mercato, che mostrano che esso non è affatto razionale, il che mette in discussione un concetto base della dottrina economica, quello di equilibrio.

La competizione sul mercato funziona bene, ma non ne vanno spinti molto gli elogi. Il libero mercato competitivo non è solo il terreno in cui produrre quanto risponde alle nostre necessità e ai nostri desideri, ma anche l’arena in cui lanciare la caccia ai consumatori. George A. Akerlof e Robert J. Shill hanno dimostrato che esiste un equilibrio del “phishing”, in cui gli ingenui verranno catturati in acquisti che pensano utili ma  non lo sono (12). E questo accade non per la natura malvagia dell’essere umano, ma per la logica stessa del sistema capitalistico, che è quella della sopravvivenza del più adatta dura competizione, che costringe a fare utili, pena l’estromissione dal mercato delle imprese o dei direttori.

Negli anni dell’avvento del neoliberismo, la matematica ha pervaso lo studio dell’economia accantonando gli aspetti sociali, dimenticando che l’economia nasce scienza sociale con risvolti redistributivi tra gli agenti in atto. La matematica è un linguaggio che ci permette di vedere relazioni complesse con una chiarezza che altrimenti non avremmo e buoni modelli matematici tengono conto anche dell’incertezza. I problemi non dipendono dalla matematica, ma da chi la usa in modo sbagliato.

L’individuazione delle questioni circolari dell’intera ripartizione stato, mercato e società può essere d’ausilio a valutare il realismo e il grado di validità dei modelli, assegnando un ruolo strategico del settore pubblico, e rifondere i rapporti degli attori del mercato (13). ( SEGUE )

Bonaventura Marino

 

Note:

1 Karl Polany sposta l’angolo di visuale dei fenomeni economici mettendo in evidenza che essi poggiano anche su valori extra-economiche e ne vien fuori un confronto con categorie che dominano i rapporti economici rendendoli immersi nella vita sociale. Cfr. Karl Polanyi, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Einaudi, 1976, pag. 75.

2 Cfr. Mariana Mazzucato, Il valore di tutto. Chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale,
Laterza, 2018, pag. 240 sostiene che la politica dovrebbe capire che le innovazioni sono un processo
collettivo.

3 Cfr. Karl Polanyi, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Einaudi, 1976, pag. 162 e seguenti.

4 Cfr. Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali, Rizzoli, 1995, pag.251 e seguenti.

5 Cfr. Compendio della Dottrina sociale della Chiesa in www.vatican.va.

6 Cfr. Joseph E. Stiglitz, Invertire la rotta. Disuguaglianza e crescita economica, Laterza, 2018, pag. 124.

7 Cfr. Paul Ricoeur, La persona, Morcelliana, 1997.

8 Le fratture economiche si posso fronteggiare con maggiore condivisione dell’agire nella produzione per redistribuire reddito e socialità. Cfr. Paul Collier, Il futuro del capitalismo, Laterza, 2020, pag. 152 e segg.

9 “In natura queste parole giusto, onesto, virtù, utile, interesse non si possono se non istoltamente disgiungere” così in Antonio Genovesi, Lezioni di commercio o sia di economia civile, Edizione Istituto Italiano per gli studi filosofici, Napoli, 2005.

10 Cfr. Luigino Bruni – Stefano Zamagni, Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il Mulino, 2004.

11 La prima formulazione del principio sussidiarietà è contenuta in san Bonaventura da Bagnoregio, che nel 1251, professore alla Sorbona di Parigi, insegnava che il principe, i mercanti e le confraternite devono dialogare costantemente tra di loro in modo di definire le priorità, l’approvvigionamento delle risorse e studiare le modalità di gestione Cfr. Bonaventura da Bagnoregio, La sapienza cristiana, Jaca Book, Milano 1985, pag. 89 e seguenti.

12 Cfr. George A. Akerlof e Robert J. Shill, L’economia della manipolazione e dell’inganno, Mondadori, 2016 dove dalla pagina 67 e seguenti illustrano gli inganni a cui sono esposti i consumatori: vendita di ciambella alla cannella ipercalorica, strategicamente in mostra in aeroporti e centri commerciali, dove le persone hanno tempo da attendere; la casa farmaceutica Merck fabbricava il Vioxx, farmaco antinfiammatorio ritirato dalla vendita mondiale nel 2004 a causa di morti e infermità derivate dall’assunzione dello stesso; nel settore della finanza, immobiliare, auto, alimentare, giochi, sanitario.

13 Cfr. Joseph E. Stiglitz, Popolo, potere e profitti. Un capitalismo progressista in un’epoca di malcontento, Einaudi, 2020, pag. 22.

Immagine utilizzata: Pixabay

 

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