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Suicidio assistito, aborto e immigrazione: le necessarie riflessioni nel mondo cattolico- di Rocco D’ambrosio

Quattro giorni fa Avvenire pubblica la notizia e la lettera di Davide, che ci lascia, dopo anni di sofferenza, con il suicido assistito. Tanto ci sarebbe da dire, in positivo, sull’atteggiamento del quotidiano cattolico: finalmente parole umane dopo, per esempio, quelle su Welby (giudizi poco cristiani ed esequie negate, fatto canonicamente inaccettabile) o quelle su Beppino Englaro e cosi via. Ma, forse ancora più interessanti sono i commenti (più di 800) che seguono in calce alla notizia, riportata su FB. In essi si legge di tutto: a favore del gesto o contro, espressioni di condanna o accoglienza, di misericordia o rifiuto e via dicendo.

Alla luce di ciò mi chiedo se ci siano degli spazi, nelle parrocchie, nei gruppi e movimenti, dove si possano discutere queste posizioni o altre su temi sensibili (aborto, eutanasia, immigrazione, povertà, pace, giustizia, lotta alla corruzione e agli abusi su donne e piccoli e cosi via). Non mi riferisco a conferenze con esperti, molto frequenti anche con ottimi interventi; mi riferisco, invece, a spazi e tempi per discutere, dialogare, confrontarsi, ricevere indicazioni di lettura e meditazione personali…

Ci si potrebbe chiedere: ma a che serve la catechesi? Perché non bastano i soli eventi? Solo la catechesi assolve al compito indispensabile e generale di formazione, che né gli eventi, né i social possono sostituire. Scrivevano i Vescovi nel 1970: “La catechesi illumina le molteplici situazioni della vita, preparando ciascuno a scoprire e a vivere la sua vocazione cristiana nel mondo. Infatti, crescendo nella conoscenza di Cristo mediante la fede, ciascuno fa proprio il pensiero di Lui, i suoi giudizi, la sua volontà, la sua croce e la sua gloria, in una operosa vita di carità. D’altro lato, l’esperienza cristiana della vita conferma la fede e apre la coscienza a nuovo desiderio di conoscere e amare il Signore e di rendergli testimonianza”.

Rocco D’Ambrosio
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