Il segretario politico di Forza Italia, notoriamente, non è uno “sfascia-carrozze”. Al contrario, si comporta da persona avveduta e prudente e se afferma di non voler, assolutamente, tendere trappoloni al governo della cui maggioranza fa parte, c’è da credergli. Eppure non si perita d’assumere, nei confronti di quest’ultima, posizioni chiaramente dissonanti, anche su temi che, come sa benissimo, sono facilmente passibili di essere rinviati al mittente con la motivazione che non fanno parte del programma di governo.
Posizioni – sull’Autonomia differenziata e sulle carceri, sui diritti civili e, più rumorosamente, sullo “Jus scholae” – che sembrano avere un comun denominatore nel riferimento alla cultura liberal-democratica che è, o almeno dovrebbe essere, nelle tavole fondative di Forza Italia. Né si può pensare che abbia inteso esplodere in aria un colpo di pistola a salve o peggio un petardo. Lanciando un sasso e poi subito ritraendo la mano
Si può, al contrario, ritenere che la nuova postura di Tajani esprima un disagio, dapprima un po’ umbratile ed istintivo, poi via via più lucido e consapevole, a convivere con le culture politiche della destra più destra ? Se son rose fioriranno?
In fondo, quando in politica un’idea ha una sua appropriata e legittima consonanza con la metrica di quel certo momento, si comporta come un’acqua sorgiva a monte che dapprima sembra disperdersi all’intorno, ma poi trova da sé la strada per giungere, di balza in balza, fino al mare. Chi vivrà vedrà se Tajani vuol fare sul serio o se, piuttosto, siamo di fronte ad un teatrino combinato ad arte, con chi di dovere, per stringere e costringere in una tenaglia il povero Capitano.
Per ora, fino a prova contraria, prendiamola pure per buona ed ammettiamo che l’atteggiamento assunto da Forza Italia nella maggioranza di governo – si vedrà fino a che punto condiviso o meno dall’ intero partito – evochi, in un certo senso, la preoccupazione di non sacrificare, toto corde, la propria originaria particolarità alla dittatura di una maggioranza, intesa come un Moloch, un idolo geloso cui offrire il sacrificio cruento della propria identità.
In effetti, tutto ciò rinvia ad una riflessione di metodo che – a prescindere dal momento, dagli argomenti e dai contenuti di merito che la suggeriscono in questa occasione – ha un suo rilievo oggettivo in ordine alla qualità della democrazia nel tempo della complessità.
E’ tale la matassa di questioni che si intrecciano le une alle altre e talmente differenti le tempistiche di ognuna – talune circoscritte al momento contingente del governare quotidiano; altre necessariamente dispiegate sulla lunga durata – da doverci chiedere se non sia opportuno esaminare quali argomenti non possano, e non debbano essere, a tutti i costi contemplati nei programmi, per forza di cose transeunti, di questo o quel governa, catturandole, quindi, nel breve raggio di quel particolarissimo frangente storico e quali altre debbano essere considerate, invece, appannaggio del libero confronto parlamentare. Al quale ciascuna forza possa concorrere solo in funzione della propria cultura di riferimento, a prescindere da vincoli di alleanza, da rispettare, piuttosto, su altri fronti tematici espressamente pattuiti.
Dialettica parlamentare che, a sua volta, sappia dare legittima rappresentanza alle correnti di pensiero, alle culture, alle tradizioni e, nel contempo, alle istanze innovative, ai bisogni ed alla domanda sociale, ai comportamenti ed ai costumi che via via ribollono nel corpo della collettività. I temi di carattere costituzionale, in primo luogo, ma anche quelli attinenti la vita, il nascere ed il morire, che esigono, tra l’ altro, il rispetto della piena libertà di coscienza degli stessi singoli parlamentari. Ma anche quei processi di lungo corso che trascendono non solo questa o quella maggioranza di governo, ma addirittura i tempi di una legislatura ed anche più, avendo a che fare con una visione sistemica del divenire, non possono essere sacrificati – ed, infine, fors’anche distorti e strumentalizzati – al miraggio del consenso immediato, quasi non fossero argomenti di grande respiro, ma bandierine destinate a contrassegnate determinati, presunti domini elettorali.
I temi, ad esempio, di “transizione”, sia essa quella digitale o ambientale, ancor più quella che possiamo chiamare “transizione educativa” oppure le questioni ostiche, ma innaggirabili connesse alla trasformazione multietnica delle nostre comunità: cioè tutto ciò che attiene il cambio di paradigma che stiamo attraversando. Se – e ribadisco se – l’atteggiamento di Forza Italia potesse venire letto nel senso di una preoccupata cautela nei confronti della “dittatura” della maggioranza, potrebbe essere accolto, se non altro, come un’opportuna sollecitazione ad approfondire il tema dei rapporti, oggi vistosamente compromessi, tra potere esecutivo e legislativo, tra governo e Parlamento, tra governabilità e rappresentanza.
Domenico Galbiati