Una recente, lucida analisi di Guido Ponte e Giacomo Robustelli ha il merito di aver posto l’accento su una criticità che, contraddistingue le reti Internet, perché gli operatori di telecomunicazioni sostengono il costo degli investimenti necessari per rafforzare e migliorare le performance delle proprie reti, mentre i consumatori ne usufruiscono gratuitamente. Pertanto, in assenza di un adeguato riconoscimento economico di detta capacità trasmissiva, il continuo incremento dei volumi di traffico determina una perdita secca. Emblematico di questa diseconomia strutturale è la TIM che, secondo i dati più recenti, nell’ultimo decennio ha visto più che decuplicato il consumo di traffico mensile per linea sulla sua rete.
Di conseguenza, i due autori propongono l’introduzione di un Fair Share (il rapporto tra la quantità totale dei prodotti offerti dall’intero settore di riferimento e l’offerta della singola impresa, ndr), ovvero il riconoscimento di un contributo economico a favore dei più grandi operatori di telecomunicazioni a copertura parziale dei costi attribuibili dal traffico da loro generato. Detto onere andrebbe ripartito solo sui grandi operatori di traffico, esentando i soggetti di dimensione più piccola.
A tal fine, dovendo rimediare ad un fallimento del mercato, la disciplina del Fair Share dev’essere costruita ricorrendo alle cosiddette “Imposte correttive” che procurano gettito e, contemporaneamente, ristabiliscono l’efficiente allocazione delle risorse, distorta dall’inefficienza del mercato. In particolare, le “esternalità di consumo“ dell’utente, cioè la fruizione gratuita della capacità trasmissiva di TIM, vengono colpite da detta imposta strutturata a somma fissa (lumsum),perché il suo ammontare non può essere modificato dal comportamento del contribuente.
Gli Stati Uniti come l’Italia, tuttavia, hanno fatto un uso molto limitato delle imposte correttive per la scarsità di gettito dovuto alla pratica difficoltà di attuazione. Pertanto, va costruita un’altra disciplina del Fair Share basata sull’ipotesi di acquisto di TIM, con un’OPA valutata intorno ai 5 € miliardi. ,da parte di Cassa Depositi che, tuttavia, ha un capitale disponibile solo di 1,4 €miliardi.
Per il Mef, azionista con l’82,77%, l’esborso necessario non sarebbe un ostacolo insormontabile, se potesse essere reperito aumentando le entrate , impossibile per il livello insopportabile della pressione fiscale. Anche l’opzione del finanziamento a debito risulta impraticabile a causa del livello proibitivo d’indebitamento già raggiunto dallo Stato italiano. Infine, il ricorso ai fondi del PNRR,che non gravano sul bilancio dello Stato, incorrerebbe nel divieto della Commissione Europea che non consente alle Banche nazionali di Promozione (NPB) di sostenere il Piano d’Investimenti per l’Europa. Quanto alle Fondazioni di origine bancaria avrebbero già manifestato forti perplessità perché l’acquisizione di Telecom comporta l’accollo di 26 miliardi di debiti .
L’unica possibilità rimane quella che i cinque miliardi di euro vengano assegnati direttamente a TIM per la sua partecipazione al PNRR, intesa a realizzare lo sviluppo digitale del Paese ,con ‘offerta di tecnologie e soluzioni innovative in grado di creare valore per le aziende, la Pubblica Amministrazione, i singoli cittadini e la collettività tutta.
Tuttavia i 126 miliardi del PNRR, pur non essendo a carico del Bilancio dello stato, sono prestiti dell’UE che l’Italia è riuscita ad ottenere a condizioni più vantaggiose di quelle che Roma avrebbe potuto ottenere da sola, consentendole di realizzare un vistoso risparmio valutato in 25€miliardi. Se a questo basso costo si aggiunge il rinvio al 2028 in poi per la restituzione, si comprende la scommessa del PNRR: lasciamo crescere il debito, basta che sia debito “buono”.
Ora, TIM azienda industrialmente sana, come dimostrano i risultati del 2022, grazie all’alleggerimento del debito pregresso determinata dall’incasso di detta somma, potrà generare, nel corso dei tre anni, i flussi di cassa aggiuntivi necessari per recuperare il contenuto costo del debito UE.
In altri termini la capacita di produrre debito “buono”, alleggerendo l’onere del debito “cattivo “ pregresso:
a) risolve la distonia tra il mercato dei servizi che deve fronteggiare una forte competizione e quello delle infrastrutture che richiede investimenti di lungo periodo
b)mantiene il controllo dello Stato, rimediando all’impossibilità dei due soci di sottoscrivere l’aumento di capitale sociale.
c) attribuisce a TIM la qualifica di “ Riforma Abilitante” voluta dal PNRR, perché, attua il passaggio di testimone tra utilizzo dei fondi PNRR e realizzazione dell’asse strategico della digitalizzazione che caratterizza ogni politica di riforma del Piano.
In conclusione, il debito “buono“ non farà fare a TIM la figura del cane che si morde la coda perché concorre direttamente ed indirettamente, con la digitalizzazione della P.A., alla stabilità del Debito Pubblico, evitando che nel prossimi anni l’Italia continui ad essere il paese europeo con un rapporto Debito/PIL tra i più alti della zona euro.
Antonio Troisi