L’ incendio scoppiato all’ Ospedale di Tivoli ha riacceso il confronto sul tema delle politiche sanitarie che meriterebbero, se non altro, di essere fatte oggetto di un esame che, una volta tanto, non sia gratuitamente pregiudiziale, secondo il canone inappellabile del bipolarismo maggioritario. Se non altro perché la “regionalizzazione” del SSN coinvolge nella vicenda sia la maggioranza parlamentare che le forze di opposizione, soprattutto laddove siano queste ultime ad esprimere i governi locali. Considerando, altresì, come la conquista di un sistema sanitario a copertura universalistica della domanda di salute sia un autentico patrimonio di civiltà del nostro Paese, forse la più rilevante conquista sociale del cosiddetto “secolo breve”.
Anche un tema di tale rilievo viene affrontato senza il respiro che ci vorrebbe, senza la necessaria apertura mentale, ricercando, al contrario, gli argomenti che siano, al momento, di più forte impatto in termini di propaganda politica, molto meno in quanto a rigore ed oggettività della diagnosi, meno che mai della possibile terapia. Nel webinar che INSIEME ha dedicato al tema, lo scorso 18 ottobre (CLICCA QUI), Massimo Molteni, che ne ha introdotto i lavori, ha ricostruito storicamente l’ evoluzione del nostro sistema sanitario, ha indicato gli snodi problematici più rilevanti, spesso, connessi alle innovazioni tecnologiche intervenute nel campo della medicina, ha segnalato la criticità di un modello aziendalista e di una logica di mercato applicata al campo della salute, ha, soprattutto, espresso il timore che di questo passo il nostro SSN sia destinato ad un fatale collasso.
Il confronto, invece, in questa fase, è incentrato su due aspetti: l’ entità degli stanziamenti, il loro incremento più o meno adeguato e la priorità, anzi per taluni, l’esclusività da riservare alla sanità pubblica. Versanti, l’uno e l’altro, rilevanti, ma che, anziché essere spesi alla spicciolata, andrebbero inquadrati in una domanda cui ogni forza politica – maggioranza oppure opposizione che sia – dovrebbe dare una risposta che sia – in scienza e coscienza, appunto secondo il gergo medico – puntuale e schietta.
Siamo rassegnati all’inesorabile declino del nostro sistema sanitario, vogliamo se non assecondarlo, attenderne, senza colpo ferire, l’ inevitabile default, blandire gli interessi che potrebbero trarre vantaggio da una tale deriva, oppure pensiamo che, a costo di una terapia d’urto, si debba reagire e salvarne l’ impianto? Insomma, si deve interrogare la destra e si deve interrogare la sinistra che ha avuto, a sua volta, gravi responsabilità nei tagli che hanno via via inceppato il nostro servizio sanitario. In realtà, la sostenibilità di un sistema sanitario come il nostro è una questione in sé molto complessa, difficilmente affrontabile se abbandonata alle polemiche contingenti del momento politico, invece di essere assunta, pur nella articolazione delle differenti posizione, come obiettivo sostanzialmente condiviso.
Peraltro, se si vuole andare alla radice del problema è necessario riconoscere come il suo orizzonte sia sì di carattere tecnico, ma inevitabilmente implichi profili di ordine culturale, di rilievo, si potrebbe dire, antropologico, che hanno, cioè, a che vedere con la concezione di sé che l’uomo del XXI secolo va sviluppando. In altri termini – a rischio di banalizzare la questione, salvo tornarci su – non basta organizzare l’offerta di servizi sanitari. Occorre anche educare la domanda. Pure nel campo della salute, diritti e doveri devono convivere in un attento e responsabile equilibrio.
Domenico Galbiati