Certamente, di fronte alla crisi del governo Draghi,  è una prospettiva da respingere quella dello scioglimento del Parlamento in un momento in cui, come opportunamente rileva il Comitato di Coordinamento di Insieme  “la scena internazionale esige un Governo nel pieno dei poteri e in continuità con le scelte compiute finora in stretta relazione con l’Unione europea e gli alleati del mondo occidentale” (CLICCA QUI).

Così come altrettanto pericolosa sarebbe la prospettiva di un cambiamento della figura del Presidente del Consiglio. Un numero crescente di forze istituzionali, sociali e culturali lo sta avvertendo. E’ evidente anche l’irresponsabilità delle forze politiche, o meglio di alcune componenti interne di queste forze, che hanno determinato questa situazione avanzando richieste miranti a capitalizzare il proprio dividendo elettorale, forse nella prospettiva di salvaguardare i seggi parlamentari a rischio per  l’ improvvido  “taglia poltrone”.

Ma c’è altro che non si avverte, direi che nessuno sembra avvertire. Quando oggi si parla di irresponsabilità politica,  di priorità elettoralistiche, di populismi disgreganti e pericolosi, si finisce per non vedere il problema di fondo, quello che l’ Italia ha davanti a sé e che genera tutti questi effetti perversi. E’ un grande problema costituzionale che non potrà non essere affrontato nella campagna elettorale decisiva che auspichiamo sia a  scadenza naturale.

Il bell’articolo di Michele Ainis su La Repubblica del 18 luglio 2022 ne ha   chiarito i contorni  con la consueta chiarezza che contraddistingue i suoi testi: “ E’ in crisi la Costituzione come regola, come bussola della competizione politica. Giacché, a rievocare gli episodi che si sono fin qui succeduti, ogni direttiva costituzionale si converte nel suo opposto, generando una litania di paradossi” ( Michele Ainis  “La non sfiducia a Draghi” La Repubblica 18 luglio 2022).  Ainis, per esemplificare gli aspetti di questa “crisi delle regole”, cita il decreto omnibus sugli “aiuti”, insieme alla “fuga” penta stellata dal Parlamento per non votare la fiducia ( o meglio la sfiducia). Poi ricorda come, sempre paradossalmente,  Draghi si sia dimesso dopo aver incassato la fiducia, una fiducia  che lui ha giustamente percepito  come inadeguata per superare le difficoltà prodotte da questa situazione a realizzare il suo programma di governo.  La realtà costituzionale pare, in ognuna di queste situazioni, semplicemente rovesciata. Cosa sta succedendo?

Le forze politiche non fanno altro che contraddire in continuazione se stesse, in preda a pulsioni che in misura maggiore o minore,  le disconnettono paurosamente dalla realtà e dalla mente dei cittadini, che anch’essi fuggono dalla partecipazione. E’ arrivato il momento in cui si sta realizzando la terribile previsione di James Madison, che, nel XVIII secolo, all’inizio dell’esperienza americana, aveva scritto che le Costituzioni sono le leggi fatte dagli uomini savi per quando tutti saranno diventati folli, per quando il delirio sarà divenuto realtà quotidiana della politica.

Questo il problema: come uscire da delirio e follia.  Si tratta di trovare le strade migliori per tornare allo spirito ed al senso della Costituzione per riscoprire  le ragioni e i modi dello stare insieme come cittadini. Evitando la tentazione di cambiare Costituzione di incolpare la Costituzione delle responsabilità di coloro che l’hanno dimenticata ( o calpestata).

Mario Draghi ha certo  ragioni da vendere nel pretendere una coalizione con cui stabilire un patto di fiducia, non potrebbe fare diversamente. Ma l’istituto della fiducia nello spirito della Costituzione non era  nato per questo.  C’è un meccanismo che è stato stravolto.  Un Parlamento che si è in qualche modo “auto-nominato”sin dal  2005  grazie ad una legge riconosciuta come incostituzionale, prima, e ad altra legge fortemente sospetta di incostituzionalità, poi, non poteva che portare a un disastro senza precedenti.  Quale può essere il grado di rappresentatività e quindi di responsabilità  democratica ( cioè della capacità di rispondere agli elettori) di un Parlamento del genere? Quale può essere la sua capacità di fare davvero sintesi politica? E’ evidente che in questo contesto l’unica chance ( anomala) di rappresentanza finisce per l’essere il presidente del Consiglio. A lui quindi si rivolgono oggi i sindaci d’ Italia non al Parlamento, anche se la nostra è una repubblica parlamentare .

Il fatto è che in questa dinamica istituzionale malata non può più esistere un conflitto politico regolato e razionale, un dia-logo politico vero, fondato sul confronto ragionato  di idee, e di conseguenza, non può esistere neppure un compromesso effettivo, che sia una sintesi chiara e trasparente, come è necessario per dar vita a un vero  governo di unità nazionale. Per quale altro motivo non si è fatto un vero governo di unità nazionale sotto la guida di Draghi? Semplicemente perché questo Parlamento non riusciva a farlo. Al posto del compromesso effettivo possiamo avere solo altro, un accordo di bassa lega inconsistente e volatile. Aveva ben previsto questa situazione Luigi Einaudi, quando scriveva: “Il compromesso del do ut des non è indice di tollerante adattamento parziale alle idee opposte, sì invece di puro calcolo partigiano egoistico … Questo è falso compromesso il quale trasforma i codici in antologie di norme arlecchinesche  e dà il governo in mano a faccendieri intriganti…Il vero compromesso è invece avvicinamento tra gli estremi , superamento degli opposti in una unità superiore “ Luifgi Einaudi, “Major et sanior  pars”Idea,  gennaio  1945.  E tali erano stati i governi di unità nazionale italiani nel corso del secondo dopoguerra.

Oggi, a legislatura quasi conclusa, si tratta di tornare alle urne, in una situazione che sarà probabilmente difficile e drammatica, forse non meno di oggi. E’ essenziale perciò non sprecare questo momento. Prima di tornare alle urne sarà necessaria una legge elettorale che restituisca, secondo lo spirito della Costituzione, rappresentanza effettiva ai cittadini, senza la quale l’autoreferenzialità delle forze politiche oggi attive non può  essere superata e senza la quale nessuna garanzia è possibile per salvarci dalla volatilità del consenso, che sinora ha creato rappresentanze  enormi  ultra precarie e senza la quale il meccanismo della fiducia parlamentare è solo una pura finzione. E’ questa la precondizione perché la politica torni ad avere un senso e perché i governi su quelle scelte politiche ( e non tecniche) possano fondarsi senza dipendere in continuazione da ricatti e prevaricazioni.

Sarebbe opportuno però dare un senso più ampio al ritorno alla Costituzione, anche se altre cose non possono ottenersi con interventi ad effetto immediato. Se passiamo dai meccanismi della rappresentanza  alla disciplina costituzionale dei rapporti economici troviamo altri punti che sarebbe essenziale ripristinare anche per far fronte ai problemi straordinari dell’ “economia di guerra” in cui ci troviamo o della crisi eco ambientale e sociale.  Quanto sarebbe stato importante utilizzare la riserva prevista dall’art. 43  in relazione ai servizi pubblici  essenziali ed alle fonti di energia per poter realizzare l’ “aiuto” che l’economia tedesca ha potuto fornire ai propri cittadini con l’introduzione del biglietto di trasporto pubblico unico mensile di nove euro?

Senza cedere a forzature o ideologismi, forse siamo ancora in tempo a fare di una rinata cura della nostra carta costituzionale una occasione  di riscatto nazionale, per uscire da un sistema di deregolamentazione capricciosa ed arbitraria che ha costruito un contesto oligarchico in cui tanto il merito dei giovani e meno giovani, senza “padrini” o senza “santi in paradiso”, quanto la capacità di governo di chi ha le competenze necessarie, possono essere ridotti tanto facilmente  a carta straccia.

Umberto Baldocchi

 

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