“Trasmettere la fiamma, non conservare la cenere”. La frase di Tommaso Moro apriva l’invito all’ incontro di Milano, che il 19 gennaio 2019, giorno centenario dell’ appello di Sturzo ai “Liberi e forti” e della fondazione del Partito Popolare, che rappresentò, oltre tre anni fa, il primo appuntamento pubblico di “Politica Insieme”, con la partecipazione di Mons. Simoni.
La storia – nel nostro caso assai più modestamente la cronaca – non è il tempo che passa, bensì, come sosteneva il mio professore di filosofia, il tempo che si accumula. E non à la stessa cosa. Non si sa esattamente dove ci si diriga se non si è consapevoli da dove si siano prese le mosse. Insomma, talvolta si deve sostare un attimo, volgersi, guardare alle proprie spalle e verificare se si è camminato in linea retta, restando allineati e coerenti ai propri presupposti o se, al contrario, si è andati zig-zagando fortunosamente dall’una o dall’altra parte.
Per noi – almeno per gli amici lombardi, per il ristrettissimo nucleo originario cui, nel tempo, si sono aggiunte decine e decine di amici, molti iscritti, tanti altri attenti alla nostra iniziativa – nel momento in cui tiriamo le somme della Conferenza Tematica, è doveroso condurre una tale verifica. Per questo mi sembra utile riproporre integralmente il documento che accompagnò quel primo incontro e ciascuno, soprattutto tra i più assidui lettori di “Politica Insieme”, si faccia un’idea della consistenza o meno del nostro percorso, così come si è sviluppato fin qui:
“Siamo convinti che una forza organizzata di ispirazione cristiana possa essere fonte di sicuro indirizzo per riportare l’Italia su un cammino di giustizia sociale, di coesione civile e di nuovo sviluppo.
Il lavoro, la casa, la scuola e l’educazione dei figli, la loro salute, la loro crescita morale, culturale e civile, la capacità critica e l’autonomia di giudizio necessarie ad essere uomini “liberi e forti” nella società complessa e della conoscenza, nel tempo della comunicazione, dello sviluppo scientifico e della tecnica pervasiva.
Ed ancora la cura degli anziani, un sentimento di solidarietà e di accoglienza nei confronti di chi, a qualunque titolo, sia “diverso”: di questo può e deve vivere una famiglia, per quanto oggi anch’essa sia attraversata da mille tensioni e non sia più né il porto sicuro delle tradizioni né il lindo focolare domestico.
E di riflesso la comunità. Secondo la consapevolezza della propria storia e, nel contempo, secondo l’appartenenza all’orizzonte di un destino che accomuna ogni uomo, per la tutela dell’equilibrio naturale, per nuovi paradigmi e forme di sviluppo non mercantile, per la cooperazione internazionale e la lotta al sottosviluppo, per costruire la pace non come aspirazione pur generosa, bensì impresa politica faticosa, progressiva e paziente, condotta, ad un tempo, con le armi della fermezza e della tolleranza.
Accogliamo da credenti la sfida oggi ineluttabile: la creazione di comunità multietniche, multiculturali, multireligiose e vi ravvisiamo – secondo un disegno che trascende le nostre convenienze contingenti – la “cifra” del nostro tempo. Quindi il fenomeno delle “migrazioni”, dell’accoglienza e dell’integrazione come banco di prova del tenore morale, misura dell’effettiva maturità del nostro vivere civile.
Pensiamo ad una politica che, anziché rincorrere il corso degli eventi, sappia guidarli; anziché assecondare lo smarrimento, lo sconcerto, le paure e perfino la rabbia di molti, sappia offrire il sentimento del Paese secondo un ordine di valori condivisi, verso traguardi di ”bene comune”; sia in grado di mostrare come gli interessi particolari ottengano la loro piena legittimazione solo ove sappiano concorrere all’interesse generale della collettività.
Cardine della nostra iniziativa politica sono la Dottrina Sociale della Chiesa – assunta integralmente come “corpus” univoco e coerente, a cominciare dal rispetto pieno della vita dal concepimento fino alla morte naturale, non per parti separate e distinte, selezionate ad hoc, secondo l’opportunità del momento – e la Carta Costituzionale, dono del sacrificio e della passione civile con cui gli italiani hanno riconquistato la libertà , presidio dei diritti originari della persona e, dunque, del suo primato rispetto allo Stato, della dignità del lavoro, della centralità dei corpi intermedi della società civile e della autonomie locali.
Orientamento della nostra azione è, anzitutto, la tutela e la promozione della libertà personale e collettiva. La libertà frammentata, incerta del tempo post-moderno, mai scontata o acquisita una volta per tutte. La libertà come “diritto” e la libertà come “dovere”. Intesa come libertà dalle privazioni della povertà economica, dalle costrizioni della povertà culturale ed educativa, dalla “dittatura” del pensiero unico, dalla omologazione dei costumi, dalla soggezione al potere esondante della tecnica che, piuttosto, va governata secondo una maturazione etica e cognitiva che tenga il passo dell’incalzante sviluppo tecnico-scientifico. Soprattutto in campo biomedico e biotecnologico, fronte di innovazioni e potenzialità a forte impatto antropologico, sfide e provocazioni per quella concezione di sé della vita e della storia che l’uomo del terzo millennio dell’era cristiana va rielaborando.
Vogliamo mettere a tema il rapporto vitale, costitutivo tra giustizia sociale e libertà che non del tutto legittimamente è vera fino in fondo, né mi appartiene se non è libertà di tutti e di ciascuno.
La libertà come “dovere” di mantenere limpido il proprio sguardo; impegno a giudicare in proprio senza intrupparsi nel gregge, senza genuflettersi ossequiosi al “capo carismatico” di turno, ad operare, nello spazio interiore della propria coscienza, una mediazione alta, una sintesi armonica delle contraddizioni che ci attraversano, concorrendo in tal modo, per la propria parte, alla composizione pacifica del corpo sociale. La libertà come attitudine cognitiva a cogliere nei fenomeni sociali elementi di valutazione oggettiva e di verità, rifuggendo da narrazioni ideologiche o di comodo.
Guardiamo ad un’azione politica fondata sulla centralità del Parlamento, sull’adesione convinta e consapevole al pur difficile processo di unificazione europea.
Per noi è essenziale il pieno rispetto e la valorizzazione del Parlamento e delle istituzioni democratiche ad ogni livello, a cominciare dalle autonomie locali, entro un’ottica di ripensamento e nuova allocazione delle funzioni dello Stato. Siamo convinti che solo un ordinamento di democrazia rappresentativa – unica forma storicamente nota di effettiva tutela delle libertà del cittadino – può rappresentare il presupposto necessario ad una effettiva governabilità. Non viceversa. E’ necessario “restituire l’Italia agli italiani” con leggi elettorali fortemente ispirate al principio della proporzionalità, rifuggendo da forzature improprie che, in nome di un astratto schema bipolare, si sono di fatto risolte in manipolazioni della sovranità popolare.
Riteniamo altrettanto irrinunciabile concorrere al processo di unificazione politica dell’ Europa, concepito da De Gasperi, Adenauer e Schuman in funzione di una pace stabile e duratura, dopo due conflitti mondiali che, aspramente combattuti sul suo suolo, hanno di fatto assunto il carattere di “guerre civili” europee. Nella consapevolezza che l’ unificazione dei mercati avviata con il Trattato di Roma del ’57 e la stessa successiva unificazione monetaria, altro non sono che vie subordinate e collaterali risposto al disegno “politico” che segnò, purtroppo, una brusca battuta d’arresto fin dal ’54, con la bocciatura, da parte del Parlamento francese, della Comunità Europea di Difesa.
In tale contesto, l’Italia deve rinverdire la propria vocazione mediterranea, suggerita dalla geografia, imposta dalla storia e dalla cultura, oggi, a maggior ragione, rilevante e necessaria a fronte di processi – non solo quello migratorio – che configurano una sorta di “aggregato euro-africano”.
In estrema sintesi, dunque, vogliamo dar vita ad una forza autonoma, competente, animata da un forte senso di gratuità, incardinata sui giovani, protagonisti di una classe dirigente nuova.
Una forza consapevole che oggi, nella società globale e pienamente secolarizzata, l’ispirazione cristiana esige la capacità di dire valori che, per coloro che hanno ricevuto il dono della fede, sono a questa vitalmente connessi, secondo un linguaggio che mostri l’intensità umana e la ricchezza civile ad essi intrinseche, così da offrirli, anche a chi proviene da altre cultura, come piattaforma e terreno di possibile impegno comune.
Domenico Galbiati