Mai le Settimane sociali della Chiesa italiana avevano avuto il risalto e la risonanza comunicativa toccati all’edizione di quest’anno. Non siamo alla pienezza dei tempi, ma certo a una più chiara assunzione di responsabilità, lasciando
alle spalle ogni indecisionismo; frammentazione, personalismo e tendenza al rinvio hanno sinora impedito all’area cattolica di riconoscersi come un soggetto pubblico, dunque anche politico.

È successo a Trieste, città di frontiera rivelatasi location perfetta per messaggi innovativi, e sarà difficile ora dimenticare quanto avvenuto, rendendo le Settimane sociali una novità di rilievo rispetto alla trattazione di eventi come questi nel teatro dei media. Il quotidiano della Cei Avvenire ha documentato
attentamente l’evento, realizzando di fatto una diretta da Trieste, “sotto gli occhi del Paese”. Un innovativo segno di attenzione alla comunicazione è stato il progetto messo in campo a Trieste intitolato: “Una Chiesa che ti ascolta”.

Partiamo allora dalla presenza e dall’intervento inaugurale del Presidente della Repubblica, ma anche il numero e la qualità delle associazioni e realtà cattoliche di base lì raccolte hanno giocato il loro peso, al punto che la copertura giornalistica, tradizionalmente avara nei confronti di quest’area, ha registrato un’impennata. L’acme dell’evento è stata raggiunta nella giornata conclusiva impregnata dalla presenza e dalla parola di Papa Francesco.

Scivolando nel politichese, si potrebbe dire che la fortuna dell’iniziativa è stata in parte nata dalla lezione del recente voto europeo che, per la prima volta, ha fatto apparire in modo schiacciante la scomparsa del centro. Sappiamo che il voto cattolico si è distribuito come sempre sull’offerta politica esistente, ma colpisce che proprio alle elezioni europee l’astensionismo sia notevolmente cresciuto, anche oltre le previsioni dei sondaggi. Non è successo invece nelle
contemporanee amministrative, segnalando una valorizzazione di esperimenti e presenze cattoliche in molte città chiamate alle urne.

Un’asimmetria da indagare, e non a caso a Trieste c’è stata una specifica attenzione per la scelta di ripartire dalle dimensioni locali e dai territori. Del resto il sostegno della Cei, la qualità del concorso di tanti delegati e il lungo lavoro preparatorio rendeva tutti particolarmente attenti alla logica amministrativa e civica più che al tradizionale
assetto partitico. Siamo di fronte a una diversa attribuzione di valore per le scelte pubbliche tanto più importante a fronte della crisi di tutti i corpi intermedi.

L’evento non ha riguardato soltanto la questione di una presenza cattolica caratterizzata come tale sulla nuova scena pubblica, ma ora diventa difficile dubitare della maturità di un percorso di diversa coerenza rispetto ai discorsi e agli
impegni pubblicamente assunti. Certo nessuno aspira ormai all’assolutismo della sola politica, ma esce squalificata l’idea che non si possa testimoniare una presenza e un’iniziativa dei cattolici. È venuto il momento di rifiutare una
visione della religione che respinga un fatto vitale, quanto la scelta di fede, esclusivamente nell’ambito privato, come impone quella secolarizzazione su cui ha levato la sua voce il Papa.

In questo contesto una sobria tag cloud delle parole-chiave e dei titoli tratti da Avvenire può rivelarsi utile. La giornata iniziale con l’intervento di Mattarella e l’apertura del cardinale Zuppi è stata così riassunta: “Diritti, comunità e pace. Le parole della democrazia”. Accanto, l’editoriale di Mauro Magatti era intitolato: “La presenza
creativa dei cattolici. Rigenerare la democrazia”. Nell’interno la recensione dei lavori da parte dell’inviato Mimmo Muolo era così intestata: “Un Paese per tutti, al centro la persona. Zuppi: diamo risposte positive e condivise”.
martedì 6 un’importante pagina di resoconto apre con la lettera delle associazioni di ispirazione cattolica al Paese, in cui si chiede che sulle riforme si opti per un dialogo costituente; a seguire, l’intervista di Marco Iasevoli a Elena
Granata, del comitato scientifico e organizzativo che, con esemplare chiarezza, sottolinea che “l’insistenza sul valore della democrazia emerso da tante personalità, così come da tante buone pratiche nate dal basso è rimbalzata sui media”, ponendosi come un fatto politico da raccogliere. Ragionando sull’energia di dialogo lì sperimentata, la docente ironizza sulla tipica esagerazione di intenzioni e letture politiche, rivendicando però che “una comunità di persone motivate e capaci nel mercato politico ha un valore immenso. Ma se non si rischia e non si dà fiducia si diventa irrilevanti, una prospettiva che da troppo tempo fa male al Paese”.

Così l’intervista legge l’evento: ogni spinta a mettersi in rete deve fare i conti con la necessità di un dialogo “tra tutti i laici impegnati in politica… partendo da progetti comuni. Quando sei nato non puoi più nasconderti”. In tempi di disagio democratico, mai come da Trieste abbiamo avvertito un vento di partecipazione, quasi un sorriso alla democrazia.

Si apre un nuovo passaggio al futuro.

Mario Morcellini

Pubblicato su www.formiche.net

About Author