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Trump e la politica dei nostri tempi – di Adalberto Notarpietro

Quando una consultazione elettorale, come quella del 5 novembre scorso per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti, dà un risultato così netto, significa che la maggior parte della popolazione, diversa per età, ceto e professioni, si è espressa a favore del candidato risultato vincente.

Trump ha ottenuto la fiducia di buona parte degli elettori, risultando più convincente della candidata democratica. E’ stato prodigo di promesse, insistendo su un concetto ricorrente della sua strategia comunicativa, quello di un’immagine dell’America ricca, giusta e vincente. Un linguaggio diretto, farcito di compiaciute volgarità, che la gente ha dimostrato di gradire, con un atteggiamento aggressivo verso quelle elite culturali responsabili, col loro politically correct, di frenare lo sviluppo del mondo. Che abbia assunto impegni irrealizzabili o avanzato promesse insostenibili, non fa differenza per chi l’ha votato, convinti dalla sua capacità e determinazione. Sicuramente un abile demagogo che usa con efficace destrezza gli strumenti della persuasione. I commenti sul suo successo si sprecano; ma non serve scomodare raffinati politologi per comprenderlo.

Trump ha vinto perché è Trump, che ha ottenuto fiducia dai cittadini, facendo leva su piglio decisionista e un’immagine schietta e affidabile. Un personaggio a suo modo positivo, come sostiene Antonio Polito sulle pagine del Corriere. L’ottimismo in politica è un requisito fondamentale per il successo, come da noi ha dimostrato Berlusconi.

Quale insegnamento allora trarre per le sorti della politica nel nostro Paese? La progressiva diserzione delle urne certifica la sfiducia nella nostra classe politica, perché la gente non crede più in possibili cambiamenti o improbabili riscatti. Da un governo all’altro, di opposto schieramento, non si avvertono cambiamenti sostanziali e i partiti vengono relegati in quel limbo dell’indistinto, dove la speranza ha perso cittadinanza. Rimangono dei distinguo ideologici e provvedimenti che risentono della matrice culturale dei partiti, ma ininfluenti sul piano economico.

Il cittadino elettore, chiamato a esprimersi per l’una o l’altra parte, non coglie le pur oggettive differenze e finisce per scegliere in base a elementi esteriori, come empatia, ottimismo e flessibilità nell’applicazione e rispetto delle regole. In periodi cupi come quelli attuali, com’è nella percezioni di molti, in cui si è chiamati a sacrifici e rinunce, la faccia sorridente della politica è preferita ai lugubri profeti di sventure. E’gioco facile allora, per il politico che investe le sue fortune nel contingente ammiccare al cittadino, schierandosi con tutti quelli che si sentono vessati da una burocrazia asfissiante e dalle imposizioni della Comunità Europea a favore della tutela dell’ambiente e della perequazione fiscale. Regolare la produttività europea, per competere più efficacemente con gli stati più economicamente avanzati è ritenuta, dagli imprenditori locali, insofferenti a normative considerate eccessivamente restrittive, una  procedura penalizzante.

Tutto succede nell’indifferenza generale ma mai nessuno si fa carico della responsabilità di quanto avviene. La denuncia di guasti e le lamentele per conseguenti disagi, si dissolvono in poche ore e nessuno risponde mai. La Sanità è assurta a modello di ingiustizia sociale, con l’apparato pubblico soccombente rispetto a quello privato e la possibilità di curarsi, sempre più legata al censo. L’ambito educativo è in sofferenza per cronica trascuratezza, con insegnanti assimilati a parassiti dell’impiego pubblico. Insicurezza e precarietà sono diventate cifre distintive del lavoro subordinato e, gli scioperi indetti dai sindacati servono solo a creare disagi a altri lavoratori, senza mai produrre risultati efficaci. La lista dei disservizi è lunga ma si direbbe che, esaurita la fase dell’arrabbiatura, sia subentrata la rassegnazione e quindi il voto ha perso la sua componente rivendicativa. Ormai si è fatta strada l’idea che il sistema sia immodificabile e votare è un esercizio accademico, che appassiona sempre meno.

E’ noto che il ventre molle della democrazia genera mostri ma, la sfiducia dei cittadini nel sistema, pur comprensibile, non si può in alcun modo giustificare. Lasciare facoltà alla politica di agire indisturbata, può essere pericoloso per la tutela delle libertà personali e sociali. Il caso di Bologna e gli scontri violenti con conseguenze pesanti per le forze di polizia ci devono far riflettere. Non ho mai avuto simpatie per i centri sociali e le varie manifestazioni in cui si sono riconosciuti, a cominciare dagli espropri proletari, ma quando Salvini afferma categorico che chiederà il censimento di tutti i centri sociali di sinistra mi chiedo se nel conteggio, non siano da inserire anche quelli di destra, almeno per amore di giustizia.

Bisogna reimpostare la grammatica politica per riconsegnare ai cittadini il loro ruolo di protagonisti attivi della nostra società, richiamandone la funzione fondamentale di decisori dei governi del Paese, dal proprio Comune al Parlamento Nazionale. Se le cose non vanno, non c’è altro modo che farsi sentire, col peso del nostro voto, almeno finché la democrazia ce lo concederà.

Adalberto Notarpietro   

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