Dopo la vittoria della Schlein risuona, da ogni contrada della politica italiana, una sorta di “inno al Centro”. C’è chi addirittura vede davanti a sé una vasta prateria in cui cavalcare a caccia delle proprie ambizioni. Un autentico Eldorado e c’è chi è pronto a vendere perfino la camicia pur di allestire velocemente un carro e correre sulle piste polverose del Far West della politica italiana verso questo luogo incantato. Se poi si scoprisse che l’ oro non c’è, resterebbe pur sempre l’adrenalina di questa meritevole impresa.
Meglio sarebbe riflettere sulla complessiva architettura di un sistema politico che, quanto più s’incardina nella logica bipolare che conosciamo, tanto più denuncia la sua involuzione letale. Letale non per gli attori che, anzi, felicemente lo abitano, ma per il Paese che della politica se ne fa un baffo e diserta le urne. Anzitutto, un’ avvertenza.
Qualunque cosa sia questo nuovo “Centro” – per ora chiamiamolo così e poi ci torneremo su – in nessun modo può essere una sorta di “patchwork”, un insieme di pezze cucite le une sulle altre. Se no, tanto valeva tenerci il PD.
Una forza politica dà conto di sé in ragione della cultura di fondo che innerva la sua visione, da cui prende le mosse un progetto storico concreto che, a sua volta, si declina in un articolato programma. Non è la posizione, topologicamente più o meno felice nel complessivo panorama del sistema, ad attestarne la natura. In caso contrario, se il Centro dovesse nascere in ossequio alla foga che oggi presiede ai suoi primi passi, in una spasmodica rincorsa tra molti, rischia di non essere altro che la discarica dei cattivi pensieri e delle buone intenzioni.
La Meloni, da una parte, la Schlein dall’altra – mai dimenticare che la politica è pur sempre dotata di una “ratio” alla fin fine inoppugnabile – non fanno altro che esprimere al meglio, come, in definitiva, era lecito attendersi, l’architettura bipolare del sistema, attestando alle ali estreme dei rispettivi schieramenti il fronte della reciproca contesa. A conferma del fatto che la patologia intrinseca al bipolarismo maggioritario necessariamente pretende toni bellicosi e di reciproca delegittimazione.
E’ possibile “riformare” un tale sistema, correggere ed aggiustare, lenire e limare i punti più controversi mettendo in campo una forza, se così si può dire, di interposizione? Cioè – senza alcun riferimento polemico ad Azione e ad Italia Viva – ponendo tra i due fieramente attestati l’uno contro l’altro, un polo in più, giustappunto un “Terzo polo” ?
Concepirsi in tal modo, non significherebbe – altro che vasta prateria! – essere costretti a giocare di rimessa tra gli uni e gli altri, legittimandone, di fatto, il condominio?
Se immaginassimo di rappresentare graficamente il nostro sistema politico, questo importante arco di forze che pare si stia mettendo in movimento, ricomponendo forse un’area scomposta e tormentata, ed al quale anche INSIEME guarda con interesse e con attenzione, dove immaginiamo possa collocarsi? All’ interno del perimetro che ricomprende la destra e la sinistra, assumendo su di sé la fatica di un intento “riformatore”? O piuttosto fuori da tale perimetro, sufficientemente discosti da poterne cogliere in un sol colpo d’ occhio le contraddizioni, così da progettare un cammino ben più radicale di “trasformazione” di un sistema irreparabilmente giunto al capolinea?
Quella necessaria “trasformazione” che il Manifesto fondativo di INSIEME (CLICCA QUI) – ci sia consentito dirlo: in modo un po’ profetico – invoca da tempo. Si tratta di un cammino meno agevole, ma più produttivo, impegnativo e più lento che concerne aspetti di metodo, di costume e di contenuto, coinvolge gli attori del sistema politico, ma anche la società civile. Purché ci si metta in moto.
Domenico Galbiati