Quando le cose non vanno in una direzione a lui conveniente, il Presidente russo suole lasciarsi andare e agitare lo spettro nucleare. Gli piace imbrogliare le carte e per chi lo capisce il suo gioco non è tanto quello di colpire l’Occidente, quanto la sua opinione pubblica per persuaderla che i suoi leader non sono altro che una manica di guerrafondai. Questo però contribuisce alla riluttanza nel consentire a Kiev l’uso delle armi a lunga gittata messe a sua disposizione per colpire obiettivi mirati in territorio russo.

Il Segretario di Stato Blinken replica definendo questa minaccia come irresponsabile. La Francia mantiene in mare tre dei suoi sottomarini atomici e la Nato rinforza i propri dispositivi nucleari. Biden promette che Putin non avrebbe vinto. Vorrei aggiungere che la Cina, in questa faccenda il principale alleato di Mosca, ha più volte espresso la sua contrarietà all’uso di armi atomiche da parte russa in questo conflitto.

Stessa posizione ha assunto l’India che, pur restando vicina alla Russia, ha di recente concluso quattro accordi con Kiev. Anche Nuova Delhi ha capito che le armi nucleari hanno un potere solo se non le si utilizzano.

Tutto questo preoccupante scambio di opinioni avviene mentre resta in corso l’offensiva di Kiev nella regione di Kursk. Questa operazione militare, che vede il territorio russo invaso da soldati nemici per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, è la più importante in corso tanto che Mosca ha dovuto ordinare l’evacuazione di 76mila persone dalle tre regioni adiacenti alla frontiera, quelle di Kursk, Briansk e Belgorod. L’Ucraina ha così portato la guerra in casa a Putin, riportando in prima pagina il tema del conflitto ucraino passato in secondo di fronte alle tensioni in Medio Oriente.

L’offensiva è nata per intimorire e creare scompiglio tra le Forze armate russe, infrangere la propaganda di Putin e farne un elemento negoziale in caso di trattative. Riguardo quest’ultima considerazione, Putin la considera allo stesso modo:  accusa Kiev di voler seminare discordia all’interno della società russa e d’aver ordito quest’intervento per migliorare la sua mano e porsi in una posizione di forza di fronte ad eventuali trattative. L’attacco ucraino e la penetrazione in territorio russo sono uno strumento di pressione contro il Cremlino. I prigionieri russi sarebbero centinaia, incerto il numero delle vittime.

Avendo dimostrato che le forze russe non erano in grado di controllare la loro frontiera, e che mancavano della capacità di comunicare e coordinarsi tra loro, l’esercito di Kiev ha posto il Cremlino di fronte ad un rovescio del tutto inatteso, un affronto che gli renderà impellente riprendersi il territorio perduto. I russi sono stati costretti a mobilitare dei riservisti e a spostare truppe dal fronte meridionale dei territori occupati per inviarle nella regione di Kursk.

Kiev dichiara legittima l’operazione, in quanto conforme al principio di legittima difesa. Scopo dell’operazione non è stato tanto l’occupare territorio nemico, quanto quello di creare delle zone cuscinetto per proteggere la popolazione da attacchi provenienti da quelle aree e smantellare più installazioni militari avversarie possibili per rendere più difficili le operazioni di Mosca. Si tratterebbe in questo caso di un’operazione difensiva, i cui motivi sono da ritrovare nell’alleggerimento della pressione sul fronte del Donbass e il darsi una carta da giocare in caso di future trattative: un pegno per aprire un negoziato. Si può infine anche parlare di alzare il morale delle truppe.

Zelensky a questo punto chiede all’Occidente il permesso di usare le armi che gli erano state fornite per colpire obiettivi di importanza strategica all’interno del territorio russo. E’ da questi, infatti, che partono gli attacchi aerei e missilistici contro il suo territorio ed è anche lì che vi sono importanti depositi di carburante e munizioni.

Si tratta in questo caso di una richiesta essenziale che verrà certamente ripetuta. Senza la possibilità di colpire i luoghi da dove partono gli attacchi russi e che consentono loro di condurre al sicuro la guerra in territorio ucraino, i militari di Kiev sanno di combattere con le mani legate. Per rendersi conto di ciò, basta vedere il modo con il quale Israele porta avanti le sue offensive sui vari fronti che la vedono impegnata. Se non le fosse consentito di colpire il nemico sul suo territorio non avrebbe la minima possibilità di raggiungere i propri obiettivi.

L’Occidente esita pensando che colpire la Russia sul suo territorio potrebbe portare ad un ulteriore aggravamento del conflitto. Al contrario però, aumentandone le difficoltà la si potrebbe costringere a riflettere ed evitare di peggiorare la situazione.

Il Presidente ucraino sa che il tempo è tutto a favore di Mosca e che nel suo paese, in un modo od in un altro, la guerra ha finito con il segnare tutti. Se vi è chi è rimasto ucciso, militare o civile, è altrettanto vero che in molte strade è facile imbattersi in feriti o mutilati, e che non sono in pochi a conoscere qualcuno che ha dovuto pagare il prezzo di questa guerra. Tutto ciò è particolarmente vero riguardo l’approvvigionamento energetico del paese, le cui centrali sono costantemente sotto il tiro di Mosca. Inutile parlare poi delle centinaia di migliaia di profughi, delle abitazioni, delle scuole, degli ospedali e di tutte le altre infrastrutture colpite o danneggiate. La morte non sceglie, così come la guerra non dimentica mai qualcuno o qualcosa troppo a lungo.

Pur cercando garanzie di sicurezza, il presidente ucraino sa bene che per via del conflitto in corso il suo paese non potrà accedere alla Nato. Che vinca Trump o la Harris, non è improbabile un distanziamento dall’Ucraina. A volerlo è lo stesso Pentagono, che ritiene ben più importante concentrarsi sull’ascesa della Cina.

Per molti americani, più che essere un problema loro, l’Ucraina è un problema europeo: forte è anche il rischio che gli Stati Uniti non saranno più gli stessi, perché anche in caso di una vittoria dei Democratici è quasi certo che nessuno farà per l’Ucraina ciò che aveva finora fatto Biden. Resta la possibilità di un ingresso nell’Unione Europea, cosa che però non dipende dagli Stati Uniti e richiederà ancora molto tempo.

Con le prossime elezioni, la palla potrebbe passare all’Europa. La Francia purtroppo si trova ad affrontare forti difficoltà interne, tanto che vi è persino chi paventa la fine della Quinta Repubblica: potrebbe esservi la possibilità che il presidente Macron possa risultare meno efficace in politica estera. L’altro asse sul quale si regge l’Europa è la Germania, nella quale però è in difficoltà anche il cancelliere Scholz. Quella sua è attualmente una posizione scomoda e lo si vede a volte far marcia indietro su temi importanti. Quanto al resto dell’Unione, resta sempre divisa e potrà far poco oltre che balbettare.

Il margine di manovra di Kiev va inevitabilmente restringendosi e se vi è desiderio di conservare sul campo l’attuale equilibrio militare, sarà non solo necessario continuare ad armare l’Ucraina, ma anche consentirle di colpire quei bersagli strategici in territorio russo dietro ai quali Mosca si trincera per poter continuare a attaccarla e metterla in ginocchio. Questo a mio avviso è il tema più importante se si vuole dare a Kiev una possibilità di difendersi con successo.

Come negarle inoltre questa possibilità, quando vediamo Israele difendersi usando le più efficaci armi americane per attaccare bersagli in Libano, Siria, Gaza e Yemen? Quale possibilità dare all’Ucraina per restare a galla? Questa ambiguità pone la domanda su fino a che punto si voglia andare fino in fondo: l’Occidente tiene davvero ad una vittoria di Kiev oppure teme che una Russia sconfitta ed umiliata possa diventare un elemento di destabilizzazione?

Penso che agli Stati Uniti convenga accettare questa richiesta, riservandosi se necessario di indicare quegli obiettivi che sarebbe meglio evitare di colpire. Fino ad oggi, in territorio russo gli ucraini sono riusciti a far qualcosa, ma solo con l’impiego dei loro droni che come armi non sono però adeguati.

A causare i danni più rilevanti ed il maggior numero di vittime in territorio ucraino sono le cosiddette bombe volanti lanciate da aerei, le cui basi sono all’interno della Russia. Mosca ovviamente gioca al ricatto, mentre da noi purtroppo quello strategico è un argomento assente nei media. Certe cose andrebbero spiegate in maggior dettaglio, sì da rendere più agevole capire la natura del dibattito e le scelte da assumere.

Il gioco per Putin è quello di condurre una guerra di attrito che, viste le sproporzioni tra i due paesi, sa di non poter perdere. La Russia è infatti in grado di subire perdite ben maggiori sia in uomini, sia che in mezzi e tirare avanti più a lungo con il conflitto. Sa che Kiev ha il fiato molto più corto e che non potrà che cedere prima. Non volendo far vedere di prendersela con l’Ucraina, preferisce affermare di essere contro la Nato e l’Occidente che sta comunque combattendo.

Tornando a ciò che si era scritto poco innanzi sulle minacce nucleari di Putin, quello che più spaventa la Russia è la possibilità che venga consentito a Kiev di colpire obiettivi mirati nel suo territorio. Egli ha dato l’ordine alle sue truppe di liberare la regione di Kursk non oltre un certo lasso di tempo e per farlo ha inviato un contingente di 40 mila uomini. Le forze armate di Kiev ancora vi resistono con successo: le truppe migliori di Mosca sono impegnate a combattere in Ucraina ed il Cremlino ha preferito non indebolirne l’offensiva per spostarne una parte nel territorio di Kursk. Per gli ucraini si tratta di una delusione: speravano che questa loro offensiva avrebbe costretto i russi ad alleggerire il fronte.

Quasi superfluo dire che Putin non prenderà alcuna decisione importante. Resta in attesa dei risultati elettorali americani nella speranza che, se venisse eletto Trump, questi prenderebbe le distanze da Zelensky e sarebbe più indulgente consentendogli di finire la guerra in modo più vantaggioso. In passato, il Donald era noto ai servizi russi che ne avevano coltivato i contatti, così come avevano infiltrato elementi della destra repubblicana ed ambienti d’affari per indebolire gli Stati Uniti. Avevano in seguito messo le mani sul processo elettorale e condizionato gli elettori, lavoro ricorrente per disturbare il processo democratico al fine di scegliere un personaggio divisivo che avrebbe inevitabilmente indebolito il Paese.

Il presidente Putin vede adesso Trump come un mezzo per fiaccare l’appoggio di Washington all’Ucraina. In quanto al presidente Biden, questi sono i suoi ultimi giorni alla Casa Bianca. Quale Ucraina vorrà lasciarsi dietro per la fine del suo mandato?

La guerra apre gli occhi e costringe a pensare. Mentre i bagliori dei combattimenti si avvicinano a Prokovsk, malgrado le belle parole degli occidentali gli aiuti continuano ad arrivare con ritardo ed in quantità insufficienti. Dovrebbero sapere che assai spesso le disgrazie derivano dal non tenere un linguaggio chiaro. Sarebbe dunque tempo di decidere se Putin vada sopportato o combattuto. Ad oggi si sono sentite tante cose da far girar la testa.

Gli ucraini non possono permettersi di sacrificare invano i loro soldati: hanno comunque combattuto meglio e con più cautela dei loro nemici, cercando di evitare al massimo le perdite umane e materiali ed in qualche occasione anche i combattimenti ad oltranza. Tentano di mettersi nella migliore condizione possibile per trattare con una Russia che ha scatenato una guerra di aggressione seguita da ingenti distruzioni e deportazioni di bambini.

Personalmente ritengo che vada fatto il possibile per frenare i progressi di quel flagello che è Putin. Come occidentali si dovrebbe operare per la salvezza dell’Ucraina, tenendo conto che dietro questa guerra si cela l’ostilità del Cremlino nei confronti degli Stati Uniti e del modello politico e sociale che rappresenta l’Europa. Putin alla fine capisce solo la forza e questo spiega i continui sforzi di Zelensky nel richiedere più aiuti ed accelerare la consegna di armi, soprattutto missili a lunga gittata.

Le sproporzioni tra i due Paesi sono enormi. Basti pensare che l’Ucraina ha una popolazione di poco inferiore ai 44 milioni, una superficie di quasi 604 mila kmq, con un Pil anteguerra di 160,5 miliardi di dollari. Di fronte a sé il più grande paese del mondo per estensione, che copre 11 fusi orari, è dotato di enormi risorse naturali ed ha un numero di abitanti pari a 142 milioni, con un Pil (sempre anteguerra) corrispondente a 2.224 miliardi di dollari.

Questi dati mettono Zelensky in una posizione di doversi in qualche modo rassegnarsi ad accettare una forma di compromesso al fine di trovare una via di uscita per il semplice fatto di non avere abbastanza uomini e risorse da opporre alla Russia. Come si è visto di recente, è il suo stesso fronte interno a non essere compatto. Dopo Kursk e dopo Prokovsk, che cosa? Se per Putin questa “operazione speciale” è una rivincita per aver perduto la Guerra Fredda, rimane indubbio che abbiamo di fronte un’Ucraina che vuole essere libera, indipendente, occidentale ed europea. Dobbiamo tenerne conto e non possiamo voltarle le spalle. I suoi figli si stanno battendo anche per noi: questa è una guerra contro l’Europa e contro il mondo libero.

Questo sarà il terzo inverno di guerra e se vi saranno delle trattative, sia queste che il loro esito verranno determinati dagli equilibri militari. Le vittorie senza piani per il futuro valgono poco e come in tutto, serve alla fine un progetto politico per il dopo.

Se è vero che il compito di oggi e di domani è quello di conservare indipendenti tutte le nazioni, è altrettanto vero che politica estera e diplomazia hanno risolto più casi intricati di quanti se ne vogliano ricordare. Regola diffusa è che un buon negoziatore all’ultimo alza sempre la posta, applicando il principio che se vi è un problema si va e si cerca di portare a casa qualcosa. Indispensabile è trovare quel punto di equilibrio tra minaccia e negoziato.

Edoardo Almagià

 

 

About Author