L’associazione TUTTI Europa 2030 ha elaborato un decalogo da proporre ai candidati dei vari partiti alle prossime elezioni europee, nella convinzione che i futuri membri del Parlamento europeo avranno un ruolo fondamentale nel modellare il futuro dell’Unione europea. Di seguito i dieci punti
1. Promozione e difesa dei valori fondamentali
Sullo Stato di diritto e sui principi di base dell’Unione Europea (“dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto e rispetto dei diritti fondamentali, ivi compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”) non si può negoziare o fare sconti. Non vanno tollerate involuzioni autoritarie come in Ungheria oggi e in Polonia prima delle elezioni. Bisogna quindi rafforzare i meccanismi di condizionalità nell’allocazione dei fondi comunitari ed eventualmente contemplare procedure di infrazione, sospensione o espulsione per chi si allontani pericolosamente da questo patrimonio di valori condivisi. La chiave sarà un serio approfondimento del concetto di cittadinanza europea, che tuteli un insieme di diritti e doveri dei singoli individui, senza distinzioni o discriminazioni nazionali.
2. Modifiche dei Trattati prima del prossimo allargamento
Bisogna irrobustire le fondamenta di un edificio prima di aumentarne la cubatura. Se si allunga il tavolo da pranzo, bisogna anche cambiare la tovaglia. Sono regole elementari che dovrebbero valere anche per i futuri, auspicabili allargamenti dell’Unione Europea. Gli errori del recente passato, con alcuni nuovi membri che hanno subito involuzioni liberticide e hanno considerato l’Unione solo alla stregua di un Bancomat, devono farci riflettere. Patti chiari, amicizia lunga. Coinvolgiamo anche i Paesi candidati nell’elaborazione delle nuove regole ma concordiamole prima di sederci tutti insieme alla tavola comune, sapendo che questo processo di allargamento potrebbe portare a diversi livelli di integrazione degli Stati membri, in considerazione della futura entrata di quasi tutti i Paesi dei Balcani e dell’Ucraina, nonché della Moldavia e della Georgia.
3. Ratifica delle modifiche ai Trattati dopo referendum unico europeo
Le nuove regole che verranno nel prossimo futuro elaborate dovranno essere sottoposte al popolo europeo in un’unica, contestuale consultazione, per decidere tutti insieme se continuare la condivisione sempre più stretta di sovranità. Si tratta di ribadire la natura profondamente democratica del processo di integrazione europea. Gli Stati membri infatti hanno da tempo convenuto di condividere aspetti della loro sovranità, nella direzione di “una sempre più stretta Unione”. Recentemente, chi non ha più condiviso quest’impostazione, ha deciso di uscire e lo ha fatto … a suo rischio e pericolo! Chi è rimasto, sta pensando, anche su spinta di chi è fuori e vorrebbe entrare, di andare avanti lungo il percorso tracciato dai Padri Fondatori. Sei in qualche Paese, la maggioranza dei cittadini non ci sta? Se ne prende atto e si applicano le regole usate per la Brexit. Ma non si blocca la volontà di chi voglia proseguire!
4. Funzione costituente e iniziativa legislativa del Parlamento Europeo
Il Parlamento europeo deve avere, insieme alle altre istituzioni, il diritto di iniziativa legislativa e deve assumere nella prossima legislatura 2024-2029 una “funzione costituente” nel processo di riforma dei Trattati. Tale riforma dovrà essere sottoposta al vaglio referendario al pari della bozza di Costituzione europea che fu bocciata in Francia nel 2005. Fintanto che il Parlamento Europeo non condividerà con le altre istituzioni il diritto di iniziativa legislativa, rimarrà imbarazzante il confronto con i parlamenti nazionali e con i loro poteri e la loro visibilità politica.
5. Un Presidente unico per l’Europa
È un’idea che promuoviamo dai tempi della Conferenza sul Futuro dell’Europa, quando formulammo questa proposta sulla piattaforma digitale aperta per recepire le istanze dei cittadini europei. Se vogliamo, ancor prima delle modifiche dei Trattati, cercare di spostare gli equilibri politici in seno all’Unione a vantaggio della dimensione comunitaria ed a scapito della deriva intergovernativa, perché non chiedere al Consiglio Europeo di “auto-riformarsi”, assegnando al Presidente della Commissione Europea anche la carica di Presidente del Consiglio Europeo stesso? Nel gergo della diplomazia multilaterale, si chiama “doppio cappello” ed è una formula spesso usata per superare … situazioni quasi “ossimoriche”! Le riunioni del Consiglio Europeo verrebbero preparate e presiedute, invece che da un ex Primo Ministro, dal responsabile in carica della Commissione Europea. Soluzione troppo federalista? E allora perché la accettiamo alla NATO, ove il Segretario Generale dirige l’organizzazione e presiede le riunioni del Consiglio Atlantico, anche quando si svolge a livello di Capi di Stato e di Governo?
6. Rafforzare il profilo dell’Unione Europea nel mondo
L’Europa deve trovare maggiore coesione e capacità decisionale per dare nerbo e credibilità alla propria politica estera comune ed alla costruzione di una difesa europea integrata. Bisogna chiedere un seggio europeo in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, una voce europea unica alla NATO e, in prospettiva, rappresentanze diplomatiche comuni nei Paesi terzi, nonché eliminare indebite duplicazioni nelle capacità militari europee. E’ necessario cercare di attenuare la nostra dipendenza dall’estero per energia, sistemi d’arma o altre forniture sensibili, ma senza scadere nell’autarchia o in altri ostacoli ad una libera circolazione di persone, beni, servizi e conoscenze. Non possiamo indulgere al protezionismo ed alla chiusura, piuttosto contribuire al governo multilaterale dell’interdipendenza, accompagnando inequivoche scelte di campo sui valori non negoziabili (democrazia, diritti umani, libertà d’opinione) con sforzi di apertura e dialogo. L’autonomia strategica aperta postula quindi un profilo più marcato da parte dell’Europa, non necessariamente per divergere dagli alleati di oltre Oceano, ma proprio per collaborare più efficacemente nelle tante aree di interessi convergenti e per gestire più costruttivamente eventuali, occasionali dissonanze, perché il multilateralismo non è beneficenza ma piuttosto il faticoso bilanciamento di interessi diversi.
7. Nuovo protocollo sociale: sanità, istruzione, previdenza, accoglienza
Anche nelle stagioni di più aggressivo liberismo, l’Europa ha sempre cercato di definirsi e comportarsi come “economia sociale di mercato”, sensibile ai dettami dell’equità e della solidarietà. Oggi che viviamo le ricadute di una globalizzazione non sufficientemente metabolizzata, si impone un’accresciuta attenzione alla dimensione sociale e a meccanismi innovativi e partecipati di inclusione e di tutela. In questo quadro, le migrazioni non possono essere derubricate a problema di sicurezza dei confini ma devono essere invece trattate come una sfida sociale da affrontare con lungimiranza, perché anche da essa si possono trarre opportunità. A partire dalle energie nuove degli immigrati nati nel nostro continente, cui concedere almeno uno status generale di cittadino europeo. Nella stessa ottica bisogna favorire la crescita di una generazione di giovani europei, attraverso il programma Erasmus che dovrebbe essere incentivato per forgiare un curriculum europeo del futuro.
8. Rispetto degli obiettivi del “Green Deal”
L’Europa deve rimanere la coscienza critica del mondo facendosi carico di proporre agli altri un modello di sostenibilità. Siamo stati all’avanguardia nella presa di coscienza dei pericoli del cambiamento climatico e nell’applicazione di strumenti innovativi per tassare le varie forme di inquinamento. Occorre trovare oggi la maniera di contemperare nei nostri programmi eventuali aggiustamenti temporali e/o incentivi, per non penalizzare i produttori europei, con il mantenimento di un obiettivo strategico globale assolutamente inderogabile. Dobbiamo continuare e, laddove possibile, accelerare questo percorso virtuoso, che non è senza costi ma nella convinzione che è purtroppo senza alternative.
9. Completamento dell’Unione Economica e Monetaria con i capitoli bancari e fiscali
L’Euro è stato un passo avanti fondamentale verso l’Unione Economica, ma rimane un progetto lasciato a metà se non si mette mano anche a riforme e condivisioni sul terreno bancario e della fiscalità, con l’eliminazione dei paradisi fiscali all’interno dell’UE e della sleale concorrenza fiscale tra gli Stati membri. Sin quando questo non avverrà, il Mercato Unico si poggerà su un retroterra scosceso, dove la mancanza di trasparenza e fiducia reciproca rischia di minare le basi della prosperità condivisa.
10. Rendere permanente lo “EU Next Generation EU” verso il “momento hamiltoniano”
Con il programma straordinario varato durante la pandemia a beneficio delle generazioni future si è superato un atavico blocco sulla mutualità del debito europeo e si è aperto un colossale programma di spesa pubblica. Ogni sforzo va compiuto per spendere presto e bene questi soldi, nonché per gestire al meglio la correlata esposizione finanziaria comune. Si innesca così una concatenazione di sviluppi che, se divenisse permanente, potrebbe offrire al bilancio comunitario ed alle istituzioni chiamate ad amministrarlo quello che gli esperti chiamano “momento hamiltoniano”, ovvero il salto di qualità che si realizzò in USA quando, nel 1790, il Segretario al Tesoro Alexander Hamilton riuscì a trasformare il debito accumulato dalle 13 ex colonie britanniche durante la Guerra di Indipendenza in debito pubblico del nuovo Stato Federale.