Berlusconi definì Matteo Salvini un “ruspante”. E con quel termine volle dire tante cose. Magari, sperando che, con il tempo, l’allora giovane leghista finisse per far emergere qualcosa d’altro. Ma il fondatore di Forza Italia e “padrino” per lungo tempo di Salvini e della Meloni, sembra che siano corsi anche discreti finanziamenti negli anni, oltre che assicurare ai due posizioni di rilievo, ci ha lasciati oramai definitivamente convinto che ben poco ci sarebbe stato d’attendersi. E ciò valeva per entrambi.
Fu lo stesso Berlusconi a mostrare deliberatamente alla telecamera, facendo finta che fosse una ripresa “galeotta”, un appunto con un suo duro giudizio su Giorgia Meloni: “un comportamento 1. supponente 2. prepotente 3. arrogante 4. offensivo. Nessuna disponibilità al cambiamento. È una con cui non si può andare d’accordo”.
Lo mostrò alla telecamera dopo la delusione maturata con la nascita del Governo Meloni che rovesciava completamente i rapporti di forza in quello che da centrodestra del trentennio Berlusconi era diventato destra estrema con appena un pizzico di centrodestra berlusconiano. Lui si sentì tradito da quelli che aveva, come accaduto anche con molti altri, “coltivato” contro Gianfranco Fini. Cose che risalivano, però, ad una stagione da tempo passata visto che la Meloni fu, prima, Vicepresidente della camera, nel 2006, e poi, due anni dopo, entrata con armi e bagagli a fare parte del Popolo delle libertà, ministra “berlusconiana”. Eppure oggi c’è chi continua a provare a presentarla come merce nuova mentre lei fa “l’anti-partiti” (CLICCA QUI).
Se Berlusconi ci fosse stato ancora, è probabile che avrebbe guardato ad Atreju, l’evento di Fratelli d’Italia cui è attesa anche la partecipazione di Elon Musk, con un sorriso ironico sulle labbra. A Berlusconi poteva essere imputato ogni genere di cose, ma non certo l’attitudine a riferirsi a cose immaginifiche. Forse perché, nonostante tutto, la sua idea di centrodestra si rifaceva concretamente ad una scelta di blocchi elettorali in rappresentanza di precisi interessi. Consapevole della sua “solidità”, non avvertiva affatto il bisogno di darsi chissà quale aurea culturale e, tanto meno, emanazione della letteratura “fantasy”. Presuntuosa o meno che fosse la cosa, Berlusconi intendeva gareggiare con Alcide De Gasperi, non certo con personaggi frutto di quella branca della letteratura definita dell’immaginazione.
Berlusconi non aveva bisogno, anzi non ci pensava neppure, a cercare di ammantarsi di ciò che non aveva o che non fosse alla sua portata. Nonostante per lungo tempo egli non avesse voluto celebrare il 25 aprile, non doveva scrollarsi di dosso alcun peso ideologico. Cosa di cui invece, è sempre più evidente, hanno bisogno di fare la Meloni e il suo nucleo storico più vicino. Quello che non vuole sentire parlare di fascismo, ma molti dei suoi ne sono ancora intrisi, o comunque finiscono per confermare che il dente batte dove duole. Ma neppure parlano serenamente di antifascismo. Eppure, lei, il cognato Lollobrigida, Urso, Bocchino, stavano plaudenti con Fini a Fiuggi. E, soprattutto dopo, quando il loro mentore, ed allora ancora capo assoluto, allo Yad Vashem legò in qualche modo il fascismo all’idea del male assoluto.
Se al “ruspantismo” di Matteo Salvini, che purtroppo permane anche in ambito istituzionale e ministeriale, è possibile se non altro riconosce il marchio della coerente continuità, il “melonismo” resta avvolto da un alone di “doppiezza” e di ambiguità. E dobbiamo riconoscere, allora, che Berlusconi c’aveva visto giusto con i suoi quattro giudizi:1 supponente 2. prepotente 3. arrogante 4. offensivo. Con l’aggiunta, quando soprattutto la nostra Presidente del consiglio finisce sotto pressione, o è presa dall’angoscia da prestazione, di una conseguente mancanza di tatto. Come quello già emerso in materia di rapporti internazionali e confermato dal recente attacco a Mario Draghi, cui è seguita una repentina, oltre che disarmante ed ingloriosa, retromarcia.
E questo spiace davvero dirlo, perché ella resta pur sempre la nostra Presidente del Consiglio dei ministri e, quindi, rappresentante del nostro Paese, di tutti noi.
Pensa Giorgia Meloni di acquisire alcunché agli occhi della pubblica opinione mondiale, e dei governanti degli altri paesi, soprattutto quelli a noi più vicini, e utili, con questo suo inseguire Salvini il “ruspante”?
Conosciamo bene l’attitudine degli italiani a provare a raccontare il mondo indossando la lente alla Carducci da “Faida di comune” o quello che oggi meno aulicamente si definisce da “bar sport”. E questo spiega, è lei stessa a dircelo, perché non le rispondono al telefono. Siamo di fronte ad una mancanza di riconoscimento di autorevolezza che da italiani dovrebbe preoccuparci. Quell’autorevolezza che, come vale per il coraggio, non te la puoi dare se non la coltivi e te la conquisti con atti concreti. E a questo poco serve inventarsi nemici dappertutto o partire per Bruxelles con l’elmetto ben sapendo che le questioni agitate dall’Italia sono comuni a tanti altri paesi europei. Così non c’è solo un Ramades da attendere al ritorno vincitore.
Non serve il vittimismo cui segue il suo contrario con quelle auto celebrazioni che rischiano d’interessare esclusivamente i fan e la “corte” dei giornalisti televisivi e di carta stampata capaci di saper fare i perfetti “ciambellani”, in taluni casi persino solo i maggiordomi, se non addirittura solamente limitarsi a sparecchiare come dei semplici “commis”. Ad inseguirla in questa tendenza schizofrenica le fanno un danno, e con lei a tutti gli italiani.