Sul PD si discuteva molto anche prima che iniziasse una successione di eventi ravvicinati e imprevisti. Il PD ha una sua importanza oggettiva nella governabilità del paese, ma compendia in se altri significati per la sua origine, la sua composizione, e per così dire il DNA dei progenitori. Molti che non appartengono al PD non dimenticano gli antenati comuni.
In un sistema politico nel quale esistono anche leader eternizzati, se invece si guarda alla successione dei segretari e dei reggenti del PD, alcuni dei quali ora in altri partiti, altri non più attivamente in politica, c’è da stupirsi che il PD esista. L’avvicendamento dei segretari peraltro segue un percorso a scosse e salti, piuttosto che una progressione evolutiva regolare. Negli ultimi tempi prima dell’incidente dell’assenza femminile tra i ministri (inatteso nel PD?), primo di una catena di eventi imprevisti, alcuni ormai si aspettavano che il PD sarebbe stato riassorbito nella Ditta, riportando il tutto a una parte.
La segreteria di Enrico Letta è invece uno sbocco che mostra un partito capace di sorprendere, anche per così dire di sparigliare. Forse sarà il tempo, più che i pronostici di ciascuno, a dire se questa capacità di sorprendere manifesti una vitalità evolutiva o sia sintomo o reazione a malformazioni originarie. Certo che quando si cita “un amalgama mal riuscito” occorre anche porre mente a chi e quando formulava questa e altre osservazioni. Intanto il curriculum di Letta, e, per chi la ha, la conoscenza personale, inducono a considerare la sua impresa con attenzione e senza sottovalutazioni.
Poiché la riflessione, e la discussione sul PD, che scorreva come un fiume un po’ ingrossato ma regolare, è entrata in un corso di rapide e chiuse, sarebbe utile mettere ordine nelle domande, prima di affrettarsi alle risposte. Che cosa accadrà, o sta già accadendo, nel PD? E che cosa accadrà nel quadro politico per effetto del nuovo corso del PD? E quali implicazioni ne derivano per le prospettive e per l’azione di un impegno pubblico cristianamente ispirato con i caratteri (autonomia, popolarismo, programma) recentemente ribaditi qui da Giancarlo Infante ( CLICCA QUI )?
Mi sembra più importante tenere aperte le domande e meno i miei (acerbi) accenni di ricerca delle risposte. Sulla prima domanda va constatato che Letta con una mossa sola (senza gradualismi) ha riportato il PD alla missione di soggetto promotore e coordinatore di una coalizione di area vasta di sinistra e di centro (“il perno di un nuovo centrosinistra”). E ha anche subito annunziato e cominciato ad assumere l’iniziativa corrispondente, elencando tutti coloro con i quali si ripromette di parlare. Vero è che alcuni commentatori si soffermano sulla difficoltà di comporre, o anche solo di rendere compatibili (l’Ulivo insegna) le culture politiche, che dovrebbero collaborare efficacemente e lealmente, e non solo coabitare, in questa impresa politica.
Siccome in Italia non abbiamo oggi veri partiti maggioritari in nessuna parte dell’arco politico, chi vuole andare al governo deve comunque organizzare un car sharing. Al Governo del paese o si va con altri o non si va. Certo che per viaggiare a lungo spalla a spalla una certa disponibilità reciproca va presupposta. Inoltre, Letta ha insediato un nuovo gruppo dirigente nel quale abbina politica e competenza (sebbene il divorzio tra politica e competenza affligga assai più altre formazioni politiche con meno storia. La cosiddetta Prima repubblica era al confronto immune da questo male).
Infine, ha avviato la correzione dell’errore forse più grave del PD: l’avere pressoché abbandonato la missione dei diritti sociali limitandosi in qualche modo a quella dei diritti civili, anche questo ben stigmatizzato da Infante ( CLICCA QUI ). Lo smarrimento della missione politica sul lavoro ha invitato gli operai a rivolgersi a Berlusconi, un tempo, e a Salvini, dopo. Ma i riferimenti sono stati sintetici e occorre aspettare i fatti: una cosa è la volontà di “combattere l’ingiustizia sociale”, altra è riuscire a varare le soluzioni normative. Il contenuto sociale del progressismo deve ancora rivelarsi.
Quanto alla seconda domanda basta il fatto che un’area fitta di suscettibilità, cicatrici visibili, quasi incomunicabilità (anzi due aree), viene coinvolta in una proposta di dialogo costruttiva. Non sarà facile ovviamente, ma il tentativo è già un fatto politico. Un successo anche parziale del tentativo rimetterebbe quest’area in corsa per il 2023, la libererebbe dall’idea debilitante della sconfitta a tavolino (in questo caso di essere dichiarati perdenti per sondaggio prima ancora di entrare in campo: aspettativa infausta per chiunque, anche in politica). Darebbe un telaio (un ordine nella dispersione, una prospettiva sebbene da condividere) a una pluralità di soggetti che si ostinano in tentativi non assistiti da buoni presagi (politici).
Concorrere a una sfida vincente pur tenendosi la peculiare identità e anche se rimanendo piccoli, è la possibilità più promettente (o forse l’unica vitale) per alcuni di questi soggetti. Non si può escludere poi (anzi è certo nel se, ma ignoto nel quanto) che fasce di elettori “centristi” ritornino a prendere in considerazione un PD a trazione diversa rispetto a quello da cui avevano preso le distanze. Ci sono, tra questi, pochi o molti che stanno attualmente guardando verso il tentativo di Insieme?
Certo che oggi la meta di questo tentativo non va modificata. Inoltre va considerato che nel posizionamento delineato dal nuovo segretario per il nuovo partito (nei contenuti del discorso di candidatura come sintetizzato nel sito ufficiale del PD e nel vademecum per i Circoli) non appaiono messaggi agli elettori cattolici, né la proposta di un approccio largo e organico alle questioni di giustizia sociale (né un impulso a trarre dalla Dottrina sociale della Chiesa le uniche chiavi per tenere insieme lavoro, ecologia, sviluppo, digitalizzazione, natalità, giustizia sociale e riduzione delle diseguaglianze). Le iniziali citazioni di Papa Francesco non sono incisivamente impegnative. Grandi ambiti di domanda politica non vengono interpellati.
Dunque la meta rimane, forse più obbligata, ma, nell’itinerario per raggiungerla, qua e là occorrerà cambiare strada, perché cambia il paesaggio da attraversare.
Vincenzo Mannino