È evidente: gli Stati Uniti sono un paese malato. E non lo è certo da ieri con la sparatoria contro Trump. E neppure dall’assalto al Campidoglio del 2001. È neppure dall’aggressione alla famiglia di Nancy Pelosi quando lei era Capo dei democratici in Parlamento. Solo conferme di un paese che ha smarrito per strada tanti di quei valori che l’avevano portato ad essere il principale punto di riferimento per un modello di libertà e di democrazia.
Di nuovo, gli americani vivono una fase di profonda lacerazione. Fenomeno che nel passato si è verificato più di quanto non si ricordi e che, in non pochi casi, come due giorni fa, è sfociato nella violenza politica.
In questa contingenza storica c’è da condiderare come la fortezza della ricchezza e della forza militare non sembra più in grado di dettare pienamente, nel bene e nel male, le regole del gioco a livello planetario. La reazione in tante aree del mondo alla guerra in Ucraina, ma anche al conflitto in atto a Gaza, per quanto appaia paradossale a noi occidentali, sta a dimostrare quanto sia cambiato l’atteggiamento nei confronti degli americani. Neppure la palese violazione del diritto internazionale da parte della Russia è servita alla creazione di un fronte più ampio di quello rappresentato dai riuniti nella Nato e dei loro alleati asiatici.
E questo perché la spinta verso il configurarsi di nuovi equilibri mondiali è più forte di ogni altra valutazione, per quanto essa sia ragionevole e confacente al Diritto internazionale.
Gli americani, ma anche noi europei, siamo rimproverarti di seguire una politica di mero interesse e di usare una morale dai due pesi e delle due misure.
Una cosa che Stati Uniti e l’intero Occidente percepiscono ogni giorno di più accrescendo la propria crisi di identità. È evidente che la consapevolezza di ciò si aggiunge ad un malessere generale che vivono da tempo l’Occidente, in generale, e gli Stati Uniti, in particolare.
La crisi d’identità si lega e si salda ai timori di perdere la preminenza economica, culturale e, persino, antropologia. E questo divide al proprio interno. Tra quanti, ad esempio, credono in un processo di transizione economica, produttiva ed ambientale e quanti, al converso, vogliono mantenere quei vecchi equilibri che hanno assicurato decenni, se non secoli, di ricchezza e di potere.
E’ questo a spiegare la divisione tra gli americani e, soprattutto, la volontà di taluni, di entrambe le parti contrapposte, di portare la divisivita alle estreme conseguenze?
Indipendentemente dal conoscere nel dettaglio cosa ci sia dietro gli spari diretti a Trump, questa è la questione centrale che gli americani, ma anche tutto l’Occidente, devono affrontare. Certo, al momento giusto. Perché non è detto che il tema sarà in cima al l’agenda della prossima presidenza, soprattutto se spetterà di nuovo a Biden o di nuovo a Trump.