Un mese di governo guidato da Giorgia Meloni, l’esecutivo più a destra dell’intera storia repubblicana. Un debutto con il decreto contro i rave party. In linea di principio una misura sensata – norme del genere ci sono in diversi Paesi europei – ma la voglia di strafare ha giocato un brutto scherzo e ne è sortito un testo in cui non è neppure ben chiara l’esatta configurazione del reato. A stridere poi è anche l’entità della pena per chi organizza i rave: sei anni. Un’esagerazione soprattutto se raffrontata con i cinque del falso in bilancio, fattispecie che desta, o almeno dovrebbe destare, ben più elevato allarme sociale per i deleteri riflessi sul sistema economico.
Vero banco del governo è stata comunque la Legge di bilancio. Il contrasto ai rincari dell’energia l’ha fatta da padrone impegnando, da solo, i due terzi dei 35 miliardi, della manovra. Nel menu anche quota 103 per le pensioni (41 di contributi e 62 anni di età), un ulteriore taglio del cuneo fiscale e l’aumento dell’assegno unico per i figli. Una misura, quest’ultima pienamente condivisibile per una più efficace politica per la famiglia.
Al di là di queste voci, segno distintivo della manovra è però la sua manifesta iniquità. Mai era capitato di vedere in passato una finanziaria tanto classista che toglie scientemente a chi ha di meno per dare sfacciatamente a chi ha di più. Perché è sostanzialmente questo il risultato della stretta sul reddito di cittadinanza e dell’estensione della flat tax.
Il Reddito di cittadinanza non sarà più una misura generalizzata per chi è privo di lavoro divenendo un semplice strumento contro la povertà, destinato unicamente a coloro che non possono lavorare. Nel nuovo assetto si cancellano i benefici per le persone occupabili, pronte cioè ad essere potenzialmente impiegate in un’attività lavorativa. In teoria tutto bene, ma in realtà più che sospendere loro il sussidio bisognava far funzionare meglio l’incrocio tra domanda ed offerta di lavoro. Il Governo sembra però aver rinunciato a muoversi in tal senso come mostra la mancata conferma dei famosi navigator che dovevano agire come facilitatori. Si può anche sorridere su queste figure inventate dal governo giallo-verde ma è probabile che in tre anni larga parte di essi abbiano acquisito una certa professionalità in materia. Competenze da valorizzare con l’inserimento in pianta stabile nei Centri per l’impiego e non con il loro licenziamento.
Il problema è che l’attuale esecutivo tutela soltanto le classi più abbienti, premiate con la flat tax (tassa piatta) ad aliquota unica del 15 per cento per i redditi da lavoro autonomo fino a 85mila euro. Se davvero, per rimanere alle parole della presidente del Consiglio, il Governo voleva indirizzarsi verso i ceti deboli, la flat tax va del tutto in direzione opposta, ma evidentemente nella visione della destra più si guadagna e meno si devono pagare le tasse, alla faccia della capacità contributiva, criterio generale di un’equa imposizione sancito nella Carta costituzionale.
Come verrà colmato il buco di bilancio derivante da questa regalia fiscale non è dato di saperlo. Non a caso il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha bocciato una manovra che ben poco concede allo sviluppo. Di che stupirsi. Più che impostare una politica industriale degna di questo nome si è reputato più urgente innalzare la soglia del contante che dal 1° gennaio passerà da due a 5mila euro, a totale vantaggio dell’evasione e delle attività sommerse. Decisamente per questo Governo equità sociale e crescita economica non sono le priorità.
Aldo Novellini
Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione I Popolari del Piemonte (CLICCA QUI)