Il tema dei diritti ha accompagnato la recente campagna elettorale, ma ha acceso gli animi soprattutto una volta aperte le urne e registrato l’esito della consultazione. In modo particolare, il tema dell’aborto e della 194 è diventato oggetto di uno scontro aspro e fortemente divisivo.

La posizione di INSIEME, com’è stata più volte ribadita su queste pagine, è da sempre molto chiara e non ha bisogno di essere ribadita. Se mai possiamo recare a supporto quanto affermava, nel 1981, allorché si tenne il referendum sull’aborto, Norberto Bobbio, laico ed illustre maestro del diritto: “Ci sono tre diritti. Il primo, quello del concepito, è fondamentale. Gli altri, quello della donna e quello della società, sono derivati”. Nella stessa intervista ribadiva “il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. E’ lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte. Si può parlare di de-penalizzazione dell’aborto, ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all’aborto”.

Bobbio, proseguiva poi affermando: “Vorrei capire quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il non uccidere. E mi stupisco, a mia volta, che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”.

Quasi trent’anni dopo, Claudio Magris, commentando sul Corriere della sera quella lontana intervista, concludeva in questo modo: “Anche in merito a ciò che spetta al dibattito pubblico e a ciò che spetta al Parlamento, la chiarezza di un Bobbio con la sua straordinaria arte di distinguere le cose e gli ambiti, sarebbe preziosa, ma non è forse gradita.
Oppure non si ricordano quelle parole di Bobbio a favore del concepito, perché dà fastidio che sia stato un non-praticante, estraneo o quanto meno esterno alla Chiesa cattolica, a pronunciarle”.

Vi sono argomenti, tra cui l’ aborto e la relativa legge 194, che meritano di essere affrontati a condizione che non siano stritolati in contrapposizioni pregiudiziali che li assumano come “casus belli” che poco o nulla hanno a che fare con il merito della questione, diventando, invece, strumento di conquista ideologica di determinati spazi di possibile consenso elettorale.

I temi del nascere e del morire, le mille declinazioni biotecnologiche che derivano dalla ricerca, soprattutto nel campo della genetica e delle neuroscienze, nell’ambito delle nanotecnologie oppure della cosiddetta Intelligenza Artificiale, le innovazioni che in ogni campo interrogano l’etica, le potenzialità tecno-scientifiche che generano un forte impatto antropologico, cioè tutto ciò che oggi mette in discussione la nostra auto-comprensione, la concezione che l’ umanità ha di sé stessa, non merita di essere dato in pasto ad un confronto cieco e rabbioso, dove predomini la preoccupazione di approntare barricate che tutelino il proprio territorio, pur di non mettere in discussione certezze distintive e pregiudizi identitari.

Oggi siamo sulla soglia di una stagione nuova che, in un certo senso, riconsegna l’uomo a sé stesso, cioè lo costringe ad interrogarsi se vi sia un limite che sia tenuto ad osservare e, quindi, un fondamento “altro” da sé da riconoscere o se, al contrario, inebriato da un sentimento di onnipotenza non debba considerarsi se non fondamento inconcusso di sé stesso. Si tratta, insomma, di affrontare un nodo di capitale rilievo, in definitiva il crinale ultimo, l’ effettivo punto di distinzione, su cui si decidono e si differenziano le soluzioni che, a livello della cultura diffusa ed anche sul piano della determinazione politica e legislativa di molti argomenti, devono essere assunte.

La vita è un dono – non necessariamente del Creatore per chi non crede, eppure avverte la meraviglia e lo stupore di essere comparso nello splendore di un universo che allude all’ infinito – oppure un possesso esclusivo? Nel primo caso, il dato originario e fondativo del soggetto è rappresentato dalla “relazione” come elemento costitutivo della persona, aperta all’ “altro” in un rapporto di reciprocità e di mutuo arricchimento. Laddove, al contrario, nel secondo caso, si impone l’ “autoreferenzialita’” dell’ individuo chiuso nella sua orgogliosa singolarità, rattrappito in una illusoria autosufficienza.

Questa riflessione può sembrare astratta e fine a sé stessa, eppure rappresenta la radice da cui prendono vita due concezioni, due differenti visioni di ciò che è più autenticamente umano. Visioni che, via via, pervadono i vari contesti culturali e sociali della vita collettiva e, non da ultimo, dettano il carattere peculiare, la cifra delle posizioni dissonanti che si manifestano anche sul piano politico e parlamentare.

Non si tratta di ricercare, tra posizioni differenti, aggiustamenti occasionali, compromessi o sia pure mediazioni di basso profilo, ma, piuttosto, di assumere, da parte di ognuno, la responsabilità di riandare, a quella che potremmo chiamare una “rifondazione antropologica” della politica. Accettando la fatica e la sfida di ripensare, in modo disincantato, privo di pregiudizi di antica matrice ideologica, la propria dottrina alla luce di una nuova e comune consapevolezza di quella nobiltà della vita, oggi largamente minacciata e, dunque, a maggior ragione, da promuovere attivamente e da assumere come cardine di ogni progetto politico.

Non si tratta che gli uni convincano gli altri, ma, intanto, che gli uni e gli altri maturino, nel confronto, una più spiccata coscienza della intangibilità della vita.

Domenico Galbiati

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