Il Sussidiario.net ha pubblicato il seguente articolo, a firma di Stefano Cingolani, sui rapporti tra Usa e Cina e dei loro coinvolgimenti dell’Italia.
Il viaggio di Janet Yellen, la segretaria al Tesoro, dopo quello del segretario di Stato Anthony Blinken, in apparenza non ha prodotto al momento grandi frutti. La Yellen ha criticato le “azioni punitive” contro le aziende americane, ha sollecitato riforme per impedire le “pratiche economiche inique” e ha aggiunto: “Cerchiamo nuove relazioni bilaterali, non un disaccoppiamento”, auspicando che le tensioni geopolitiche non danneggino le relazioni economiche. Una speranza, ma anche un gran bel dilemma.
La Reuters ha pubblicato gli ultimi dati sul commercio: le due maggiori economie mondiali restano strettamente legate l’una all’altra con scambi che hanno raggiunto il record di 690 miliardi di dollari l’anno scorso. Non solo, la Cina possiede una quota consistente del debito Usa in dollari: con circa 900 miliardi è il secondo detentore di titoli dopo i risparmiatori americani. Disincagliarsi è impossibile, cambiare i rapporti è molto difficile, ma inevitabile. Gli Stati Uniti, l’Europa (compresa la Gran Bretagna) camminano su un filo sottile, ancor più l’Italia che entro la fine dell’anno deve decidere se confermare oppure no il memorandum sulla Nuova Via della seta.
La pressione del mondo degli affari per ridurre le tensioni è molto forte ovunque. Greg Hayes, il capo della Raytheon, il colosso americano di radar e missili (Tomahawk e Patriot i più noti) ha ammesso che “se dovessimo lasciare la Cina ci vorrebbero molti molti anni per ristabilire la nostra capacità produttiva”. L’agenzia Bloomberg riporta che l’80% delle aziende statunitensi prevede di accorciare le proprie catene di approvvigionamento in futuro. Il 60% delle aziende europee sta cercando di de-localizzare la produzione nel proprio Paese d’origine o in un Paese vicino entro il 2025. Eppure, Apple non abbandona la Cina, non può farlo. Elon Musk si è recato a Pechino il 30 maggio e ha dichiarato di voler crescere nel suo maggior mercato per Tesla, senza dimenticare la grande gigafactory a Shanghai. Bill Gates ha incontrato Xi Jinping che lo ha chiamato “un vecchio amico”. Alla sfilata pechinese
s’aggiungono Mary Barra della General Motor a fine maggio, David Solomon di Goldman Sachs, Jamie Dimon di JP Morgan, Pat Gelsinger di Intel che intanto diversifica in Israele e in Europa (Germania, Irlanda, Polonia, forse l’Italia). Per il capo della Mercedes è impossibile separare l’industria tedesca dalla fabbrica mondiale: “La Germania non può tagliare i ponti”, ha dichiarato Ola Källenius. Berlino ha da poco ospitato un vertice bilaterale. Emmanuel Macron è stato tre giorni in Cina in aprile e ha venduto più che comprato: sono stati firmato ben 18 accordi di cooperazione (energia verde, nucleare, finanza). L’Unione europea non ha ancora una linea comune e questo lascia spazio per un fai da te che rischia di rivelarsi dannoso per tutti. (Per la lettura completa dell’articolo CLICCA QUI)
Stefano Cingolani