Premessa: Il presidente Biden è entrato alla Casa Bianca con la promessa di guarire l’America, restituire unità alla nazione e, rilanciando l’economia, venire in aiuto alle classi medie ed ai più bisognosi. Benché la precedenza andasse alle questioni interne e soprattutto a riconciliare il Paese, si era anche detto pronto ad affrontare le sfide del mondo e a far tornare gli Stati Uniti sulla scena internazionale. Le difficoltà non mancavano certo e sulla politica americana continuava ad aleggiare ingombrante la presenza di Trump.
I primi due anni di un presidente sono cruciali in quanto gli consentono di presentare, e possibilmente attuare, la parte più importante del suo programma. In questo lasso di tempo Biden è riuscito a far passare un progetto di legge per combattere la pandemia di Coronavirus ed un ambizioso programma di investimenti in infrastrutture e di misure per rispondere alle sfide del cambiamento climatico.
A Novembre sono infine giunte le elezioni di metà mandato che generalmente puniscono il partito al potere. In questo caso, contrariamente alle aspettative, il presidente Biden ha sorpreso tutti con dei risultati inattesi che hanno sfidato ogni previsione: il Partito Democratico ha ottenuto alla Camera i migliori risultati degli ultimi 20 anni.
Per rendere l’idea, vale la pena ricordare che nel 1994, all’epoca della presidenza Clinton, i Democratici avevano perduto alla Camera 54 seggi. Nel 2006 i Repubblicani di Bush ne avevano perduti 31. Nel 2010 Obama ben 64 e Trump otto anni dopo, 42. Oggi lo scarto tra i due partiti è di soli 9 seggi.
Al Senato, dopo il ballottaggio in Georgia tra il senatore uscente Raphael Warnock e lo sfidante repubblicano, l’ex-campione di football Hershel Walker scelto da Trump, a vincere è stato il primo. Il Partito Democratico ha così ottenuto la maggioranza di 51 seggi contro 49. In assenza della temuta ondata repubblicana il presidente ha potuto tirare un respiro di sollievo e, malgrado la sua scarsa popolarità, i sondaggi danno oggi più punti a Biden che a Trump.
I due sfidanti erano di colore e dal punto di vista elettorale la Georgia era considerata uno Stato chiave, con la metà dei suoi residenti che poteva dirsi democratica e l’altra invece repubblicana. L’affluenza alle urne è stata alta e questa vittoria consentirà ai democratici di sedere nei comitati più importanti del Senato.
Va ricordato che negli Stati Uniti il ruolo del Presidente è quello di rappresentare il ramo esecutivo del potere dello Stato. Una volta eletto, il suo mandato ha una durata di quattro anni.
Alcuni appunti sulla Costituzione americana: Per capire lo spirito che anima la Costituzione degli Stati Uniti è necessario ricordare che le tredici colonie che si ribellarono all’Inghilterra lo fecero nello spirito di combattere il dispotismo e la tirannia. I padri fondatori si ispirarono perciò al pensiero di Montesquieu e alla sua idea della separazione dei poteri. Secondo quest’ultima, era necessario dividere il potere del governo in rami, ognuno dei quali controlla e bilancia l’altro. Il compito della Costituzione è dunque quello di garantire l’equilibrio tra questi rami.
Benché già nell’antica Grecia e a Roma si tenessero elezioni per alcuni pubblici uffici, i moderni sistemi elettorali derivano da quello parlamentare britannico e da quello americano, a sua volta basato sul primo. La differenza tra i due è che gli Stati Uniti non volevano un capo di Stato ereditario e neppure una Camera alta dalle stesse caratteristiche.
Gli americani però non volevano sminuire questi uffici affidandoli ad una mera elezione competitiva. Decisero perciò che sia il presidente della nazione che il Senato fossero scelti indirettamente. Quest’ultimo oggi non è più eletto dalle legislature locali e tecnicamente, invece, il presidente è ancora scelto da un collegio elettorale.
Per comprendere il sistema è necessario rendersi conto che i padri fondatori, per eliminare il rischio di un potere concentrato in una sola persona, decisero la creazione di un insieme di contro poteri, tra i quali elezioni frequenti ed un meccanismo elettorale considerato come generalmente complesso. Va anche tenuto presente che si trattava di persuadere 13 Stati indipendenti ad aggregarsi per formare un’unione.
Ognuna delle 13 colonie originarie si era dotata di una propria Costituzione per poi decidere di unirsi in una federazione. Ciò significava che i poteri governativi erano divisi tra quelli degli Stati e quelli del governo federale. L’uso che successivamente ha fatto il Congresso delle prerogative per esercitare le sue funzioni costituzionali ha finito con l’aumentare considerevolmente la componente federale del potere.
Potere degli Stati e potere centrale: Questo conflitto tra potere degli Stati e potere centrale ha finito col riflettersi anche sulle posizioni dei partiti politici: i Democratici, generalmente parlando, tendono a privilegiare un potere centralizzato ed un controllo delle finanze. I Repubblicani, invece, favoriscono i diritti dei vari Stati ed un’amministrazione finanziaria decentrata.
Tra il 1776 ed il 1777, subito dopo la Dichiarazione di Indipendenza, vennero redatti i cosiddetti articoli della Confederazione che poco più tardi, nel 1781, furono ratificati dai 13 Stati. A seguito dell’esperienza avuta sotto il Parlamento inglese diffidavano di un potere centrale e distante ed aspiravano ad un governo nazionale dai poteri limitati.
La successiva convenzione costituzionale del 1787 lasciò decadere questi articoli in favore di una Costituzione che venne applicata a partire dal 1789.
Jefferson e Madison, nelle Risoluzioni del Kentucky e della Virginia risalenti al 1798-1799, dichiararono successivamente che i singoli Stati potevano decidere se applicare o meno la legislazione federale.
La posizione più estrema sui diritti degli Stati di fronte a quelli del governo federale fu espressa da John Calhoun con l’Ordinanza di annullamento della Carolina del Nord del 1832, per la quale in nessun modo la Costituzione poteva inficiare la sovranità dei singoli Stati. Come era inevitabile, questa presa di posizione condusse direttamente alla dottrina della Secessione. Dopo la Guerra Civile questo punto di vista radicale fu cancellato.
Negli Stati Uniti il potere legislativo venne dunque assegnato al Congresso, quello giudiziario alle Corti, la più importante delle quali è la Corte Suprema, e quello esecutivo al Presidente. Nel corso del XX secolo si è potuto assistere all’aumento dei poteri presidenziali che oggi sono in grado di iniziare una proposta di legge.
Le elezioni di metà mandato: A due anni dall’elezione di un Presidente, nella giornata del Martedì che segue il primo Lunedì di Novembre, vengono indette le cosiddette elezioni di metà mandato.
Scopo di queste elezioni è valutare la metà del percorso di una presidenza e misurare l’umore dell’elettorato. Per tradizione sono sfavorevoli al partito del presidente e servono anche a stabilire gli equilibri politici tra i due partiti che regolano la vita politica americana. Determinando la composizione del Congresso, che rappresenta il ramo legislativo del governo federale, queste elezioni mettono in discussione il potere presidenziale.
Il potere legislativo negli Stati Uniti è definito da un sistema bicamerale: una camera alta, il Senato ed una camera bassa, quella dei Rappresentanti. Insieme queste due camere compongono il Congresso, la cui sede è il Campidoglio di Washington.
Il Senato conta 100 membri, più precisamente due per ogni Stato. Essendo gli Stati 50, il numero dei senatori è dunque di 100. Per essere eletti è necessario avere 30 anni, la cittadinanza americana ed essere residenti nello Stato da almeno 9 anni. Questo sistema serve a creare un equilibrio tra gli Stati, ognuno dei quali è rappresentato dallo stesso numero di senatori. Nel corso delle votazioni, in caso di parità tra gli eletti dei due partiti l’ultima parola spetta al vice-presidente.
Questi senatori servono per un periodo sovrapposto della durata di 6 anni, un terzo dei quali viene eletto ogni due anni. Nello spazio di sei anni si rinnova dunque l’intero Senato. Brevemente, i poteri speciali del Senato, oltre che ratificare i trattati, sono quelli di consigliare e approvare la nomina dei più importanti funzionari governativi, come ambasciatori e giudici federali. Tramite il Comitato affari esteri, il Senato esercita anche una notevole influenza sulla condotta della politica internazionale. A presiederlo è ufficialmente il vice-presidente degli Stati Uniti, che spesso però delega questo compito.
La Camera dei Rappresentanti: è composta da 435 deputati ed ogni Stato ne elegge almeno uno. In ogni Stato il loro numero è determinato e proporzionale al numero dei suoi abitanti. Per essere eletti bisogna avere più di 25 anni, essere cittadini americani e risiedere nello Stato da almeno 7 anni. La maggioranza si ottiene con 218 seggi.
La Camera ha il potere di dare il via ai progetti di legge sui proventi della nazione, eleggere il Presidente nel caso nessun candidato ottenesse la maggioranza nel collegio elettorale ed interdire i funzionari federali che vengono poi processati dal Senato.
Il collegio elettorale: Per completare ciò che è stato scritto sarebbe necessario dedicare alcune righe a questa istituzione, generalmente poco compresa, ma tipicamente americana. Il collegio si compone di 538 Grandi Elettori e per eleggere il Presidente ne servono 270.
Si tratta di un corpo che elegge il Presidente ed il suo vice. Nasce da un compromesso tra un’elezione diretta e la pratica di un governo ottenuto per eredità o per nomina. In origine la scelta degli elettori sarebbe spettata alle assemblee elettive di ogni singolo Stato. Successivamente vi è stata una modifica: gli elettori sarebbero stati scelti dai votanti di ogni Stato tramite il sistema indiretto, che consente a chi vota di indicare la sua scelta e poi permette agli elettori del partito vincente di dare i voti degli Stati ai canditati prescelti.
Il processo elettorale entra in funzione con la presentazione dei candidati dei due partiti. Questi si sfidano tramite le primarie, che servono a determinare il vincitore per ogni partito. A questo punto i candidati prescelti entrano in campagna elettorale ed al momento stabilito si va al voto. Si tratta del cosiddetto “Giorno dell’Elezione”, che corrisponde al Martedì successivo del primo Lunedì di Novembre di ogni quattro anni. Lo scopo è di evitare che cada il 1º Novembre, in quanto giorno festivo.
Tornando ai padri fondatori e agli accordi originali sottoscritti per stabilire l’Unione, vi sono due voti: quello popolare e quello dei Grandi Elettori. Ogni Stato, a secondo della sua popolazione, si trova assegnato un numero di Grandi Elettori che compongono il collegio elettorale.
Ogni Stato ha nel collegio tanti voti quanti quelli corrispondenti al numero totale dei suoi Senatori e dei suoi Rappresentanti. Se nessun candidato raccoglie la maggioranza dei voti elettorali, sarà allora la Camera dei Rappresentanti ad eleggere il Presidente scegliendolo tra i primi tre candidati del partito.
Dato che il candidato vincente di ogni Stato raccoglie tutti i voti elettorali di quest’ultimo, è possibile che quello sconfitto riceva la maggioranza del voto popolare al contrario di quello scelto dal collegio. Questo sistema causa non poca insoddisfazione, ma la pratica sopravvive tutt’ora. Il voto viene poi convalidato nella giornata del 6 Gennaio ed il 20 dello stesso mese il presidente partecipa alla cerimonia del giuramento per poi entrare alla Casa Bianca.
Considerazioni finali: Le elezioni di metà mandato si sono svolte in un’atmosfera non priva di tensioni che metteva in evidenza le spaccature della società americana. La violenza verbale dei seguaci di Trump non faceva che rendere più acuto questo clima ed in un discorso dai toni drammatici a Washington il presidente Biden ha detto che nel Paese non vi era mai stata tanta violenza dai tempi della Guerra Civile. Ha poi parlato del pericolo che con Trump corre la democrazia e della necessità di sostenerla: temeva il caos e la giudicava in pericolo.
I risultati di queste elezioni sono stati migliori del previsto e hanno dato al presidente Biden una spinta che lo porterà ad annunciare per gli inizi del prossimo anno la sua eventuale ricandidatura. Questa possibilità viene rafforzata dalla sua proposta di rivedere il calendario delle primarie del suo partito che darebbero la precedenza allo Stato della Carolina del Sud.
Biden può uscirne a testa alta avendo avuto di fronte a sé non pochi ostacoli: da quando è entrato alla Casa Bianca si è trovato ad affrontare un ritiro disastroso dall’Afghanistan, una pandemia, un conflitto estero tutt’ora in corso ed il più alto tasso di inflazione negli ultimi 40 anni. In ognuno dei casi precedenti, 1974, 1978 e 1980, il partito del presidente ha perduto alla Camera da un minimo di 15 ad un massimo di 48 seggi. Con i suoi 80 anni il presidente è inoltre anziano ed i sondaggi continuano ad evidenziarne la scarsa popolarità. Prima delle elezioni il 70% degli americani era contrario ad una sua ricandidatura.
Anche se Trump continua ad avere una propria influenza nel partito, pur avendo costruito la loro campagna elettorale sull’affermazione che tutti i mali del Paese fossero figli delle scelte politiche di Biden, i grandi successi annunciati dai Repubblicani non si sono visti. Sono comunque riusciti a conservare un lieve margine di vantaggio alla Camera.
In Senato la sconfitta in Georgia del candidato scelto da Trump gli sta facendo perdere quota: la stessa compagine di Walker ha accennato che nel corso delle ultime settimane della contesa l’ex-presidente si è rivelato essere un peso. Questo non gli ha impedito di ricandidarsi alle prossime presidenziali, ma le sue possibilità di tornare alla Casa Bianca sembrano ormai poco probabili.
Queste elezioni hanno dimostrato che malgrado tutti i timori il processo democratico negli Stati Uniti ha saputo reggere ed il sistema, caratterizzato da un passaggio di potere pacifico e legittimo, ha mostrato la propria capacità di funzionare. Tutto ciò mentre russi e cinesi manipolavano invece i loro sistemi per estendere i propri mandati presidenziali ben oltre i tempi consentiti dalla legge e giustificavano le loro azioni creandosi intorno un mondo di finzione.
Edoardo Almagià