In politica – o, altrimenti detto, nella vita della collettività – tutto si tiene. Come succede, del resto, nella vita personale di ognuno
Il “caso Durigon”, che molti fanno conto o sperano sia soffocato dalla calura estiva, da altri vorrebbe essere aggirato evocando i problemi “veri” del Paese, che il governo Draghi – messa finalmente da parte la politica, almeno come la intendono i partiti, vento in poppa e barra al centro – starebbe finalmente risolvendo, affrontando impavido i marosi di una navigazione comunque difficile.
Altri, in sincera buona fede, pensano davvero che si debba parlare di ben altro, derubricando quel che ha detto Durigon a livello del petulante ronzio del quotidiano chiacchiericcio della politica. In definitiva, perché prendersela tanto per una innocente “ boutade” nostalgica che sta a Durigon come lo sfogo della rosolia sul volto paffuto di un bambinone ?
Come ha detto bene Salvini, fascismo e comunismo sono stati sconfitti dalla storia e, quindi, di cosa ci preoccupiamo? Tanto più che, bontà sua, perfino la Meloni, in fondo ed a modo suo, rende omaggio a Falcone e Borsellino….cedendo loro il passo addirittura a fronte del fratello del Duce!
Insomma, per favore, evitiamo di introdurre inutili argomenti divisivi e pretestuosi che guastino il clima di una benemerita maggioranza di governo in cui la destra salviniana conta, eccome! Senonché, a parte essere in sé oggettivamente inaccettabile ed incompatibile con la sua funzione di sottosegretario, la dichiarazione di Durigon è davvero così ingenua ed occasionale?
A sinistra, come di rito, propongono la solita mozione di sfiducia individuale – e ben venga – ma non c’è traccia di una riflessione che non si limiti ad esibire la pur doverosa pregiudiziale antifascista. Infatti, l’uscita del sottosegretario leghista non è detto affatto sia da ritenere – magari addirittura suo malgrado – così peregrina, come apparirebbe a prima vista, soprattutto in funzione delle prossime più rilevanti scadenze politiche.
Intanto, segnala la co-appartenenza ad ambedue le destre di un’area che possiamo definire “nostalgica”, ma che forse non si accontenta più di concepirsi come tale. Bensì quale custode di una memoria storica che vorrebbe quasi tastare il polso ad una certa opinione pubblica e fare le prove generali se non di un impossibile revisionismo storico, almeno di una reintroduzione di certi argomenti nel cuore del discorso pubblico del momento.
In questo senso, Durigon segna un punto a favore della Meloni, nella misura in cui le offre, sia pure in senso lato, una certa rievocazione – coerente alle sue radici storiche, che, infatti si guarda bene del contraddire – quale possibile argomento, ad un tempo, di competizione elettorale tra le due destre nel contesto del loro schieramento, nonché, peraltro, di fronte comune nel complessivo dibattito politico del Paese.
Né, per contro, ci sarebbe da sorprendersi se Salvini – che è alla ricerca di ogni possibile nicchia elettorale, in spregio ad ogni ragionevolezza, come succede quando, di fatto, blandisce anche i no-vax – volesse insidiare la Meloni sul suo privilegiato terreno di caccia. Insomma, il marciare divisi e colpire uniti – che sia una strategia concordata o qualcosa che, passo dopo passo, vien da sé, sia pure come portato meramente tattico, ma di fatto convergente delle due parti – può essere vincente, soprattutto a fronte di una sostanziale inerzia dell’altro polo. Almeno fin qui.
Senonché, come detto sopra, “tutto si tiene” e, a maggior ragione essendo Durigon sottosegretario, la questione, di fatto, poco o tanto, investe il Capo del Governo e Draghi non è tipo da far spallucce a fronte di una questione che non va enfatizzata, ma nemmeno può passare in cavalleria. Benissimo le riforme, ma necessariamente fondate sul rispetto delle fondamenta morali e politiche del nostro ordinamento costituzionale e democratico.
Per poco che sia la dichiarazione di Durigon, non si scambia nessuna riforma, per rilevante che sia, a prezzo di lasciar, sia pure larvatamente, intendere che si paga il prezzo di una qualche distrazione sui valori fondanti della Repubblica. E non si dica che tutto ciò sia ascrivibile ad una forma di intransigentismo fuori tempo e fuori luogo.
Prima che la questione approdi in Parlamento, se intende essere solidale con il governo per cui ha lavorato fin qui – e senza con ciò sminuire la sincerità e la qualità del suo impegno – Durigon stesso può togliere Draghi dall’imbarazzo di doverlo rimuovere.
A meno che sia lo stesso Salvini ad invitare in tal senso il “suo” sottosegretario ed in questo caso darebbe prova di una maturità politica ed istituzionale – nonché di una lealtà con l’impegno assunto nei confronti del governo e della sua maggioranza parlamentare – che gli andrebbe lealmente riconosciuta anche da chi, per lo più, non ne apprezza gli orientamenti.
Domenico Galbiati