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Vannacci e i disabili, testimoni privilegiati della nostra umanità

Il più bel commento alle farneticazioni del Generale Vannacci lo ha fatto Mons. Francesco Savino, vicepresidente della CEI, in una intervista comparsa ieri sul Corriere:  “Provate a stare con le persone diversamente abili per un po’, venite e vedete, e poi ditemi se ci vogliono classi separate. Perché il cosiddetto disabile, in una classe, è una presenza preziosa. La migliora. I diversamente abili diventano il collante della classe, la uniscono, sono i protagonisti attorno ai quali si costruisce il cammino educativo”.

Non c’è altro da aggiungere. Tanto basta per misurare quanta – incolmabile? – distanza corre tra una concezione dell’uomo, non necessariamente d’ordine religioso e d’ispirazione cristiana, ma del tutto laicamente umanistica, ed un’antropologia che sia, consapevolmente o meno, d’impronta razzista.

I leghisti che prendono le distanze dal loro candidato – di fatto, checché ne dicano, eletto a bandiera del loro partito – sono benvenuti tra tutti coloro che respingono sentimenti di derisione, di ricercata emarginazione per le persone più deboli. Da lì fino a scivolare giù per una china di odio, ci vuole poco. Può succedere, perfino, senza volerlo. Attraverso un meccanismo psicologico perverso, l’odio per il “diverso”, cioè la negazione radicale del suo valore, diventa, paradossalmente, l’alibi, la giustificazione di quel disprezzo pregiudiziale che si coltiva nei suoi confronti e del quale, sia pure oscuramente, si avverte il peso morale difficilmente sopportabile.

E’ tempo di affermare che, al contrario, i disabili sono testimoni privilegiati della nostra umanità. I più gravi, in modo particolare. Quanto più sono compromesse le loro autonomie funzionali, tanto più appare, nella sua nuda essenza, il valore originario ed incondizionato della loro umanità, la ricchezza irriducibile della loro persona.

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