Questo intervento su “Transizione ecologica e transizione digitale” segue i tre precedenti dedicati al “partito di programma” (1 CLICCA QUI, 2 QUI e 3 QUI).
Transizione ecologica e transizione digitale. Dovremmo aggiungerne una terza, connessa alle altre, ma fors’anche più importante: la “transizione educativa”, purtroppo colpevolmente trascurata, in un momento in cui ci avviamo verso quella che potremmo chiamare una umanità “cerebralmente” nuova. Cioè chiamata a sperimentare nuove strategie cognitive, percorsi mentali inediti, più aggiornati “manuali” di corretto uso della ragione. Questione rilevante per le giovani generazioni.
Si tratta, ad ogni modo, di versanti settoriali, parziali di un più generale processo che non si può fare a pezzi. Da considerare, invece, nella sua dimensione complessiva. Siamo, infatti, nel momento topico della “transizione”. La quale è, per un verso, passiva, cioè spinta dalla pressione degli eventi. Per altro verso attiva, cioè da noi presa responsabilmente in carico, adottando i necessari percorsi di “trasformazione” di molti aspetti della nostra convivenza civile.
La transizione intesa, cioè , come la “cifra” dirimente dei giorni che ci è dato vivere. Quasi che l’umanità sia un acrobata che, abbandonato un trapezio, si libra, avvitandosi nel vuoto, prima di afferrarne al volo un altro.
Sempre che ci riesca. E “trasformazione”, al di là del classico riformismo, non più sufficiente, come afferma il Manifesto originario di INSIEME, che ha felicemente introdotto questa nuova categoria interpretativa.
Stiamo passando da un ciclo della storia che ha portato a maturazione, con il tempo della “modernità”, un percorso plurisecolare, ad un altro di cui appena decifriamo alcuni possibili caratteri, senza che possiamo presumere quale proiezione temporale avranno – e, dunque, quale incidenza sulla vicenda umana – scelte ed indirizzi che compete a noi che viviamo questa stagione, dover definire, almeno in embrione. Su di noi incombe, infatti, una responsabilità grave: siamo la generazione che, muovendo i primi passi verso un mondo nuovo, ne può consolidare la prospettiva oppure comprometterne, fin d’ora, il cammino. Basti pensare, ad esempio – ma non e’ il solo versante – alla questione ambientale.
Cosi, ad esempio, per l’ enorme lavoro di decrittazione, in primo luogo, e poi soprattutto di discernimento etico che dovremmo compiere – ed, invece, trascuriamo – a fronte di tutto ciò che sta avvenendo nel campo delle neuroscienze e, più in generale, della genetica e delle biotecnologie. Ci affanniamo attorno ad una lettura di questi temi che si possano sventolare come vessilli di parte ed abbiano il pregio di prestarsi a contese ideologiche funzionali all’ immediatezza del confronto politico. E non ci avvediamo del fatto che, invece, è in gioco la stessa comprensione di sé che l’umanità va elaborando e rielaborando. Siamo dentro, cioè, una sfida tematica necessariamente comune all’intero genere umano, che va oltre le stesse classiche categorie di destra e sinistra e non può essere derubricata ad argomento da circoscrivere dentro l’occasionalità di un confronto elettorale.
La politica rischia di considerare questi argomenti alla stregua di fastidiose beghe di cortile e non comprende che, senza volerlo e forse senza saperlo, è costretta a giocare la sua partita su un terreno che scotta. Ad esempio, “costituzionalizzare” l’aborto come diritto insindacabile della donna, vuol dire sospingere, la generalità della pubblica opinione, sia pure progressivamente, verso una curvatura entropica che porta ad una pericolosa banalizzazione del significato della vita. E da qui, si inanellano, a cascata, una serie di derive oggi impossibili da prefigurare, sia pure con una certa approssimazione. E’ come se facessimo correre su un rettilineo, contromano l’una all’altra, due correnti di pensiero, apparentemente simpatetiche, in effetti contrapposte, antitetiche. Per un verso – vedi, ad esempio, l’intero campo del cosiddetto “transumano – si diffonde sempre più l’ idea che l’ uomo sia orgogliosamente sufficiente a sé stesso, anzi fondamento di se’ e non a caso, infatti, la libertà si dissolve nell’autodeterminazione.
Per altro verso, tutto ciò, al di là delle apparenze, porta ad un decremento della considerazione che l’uomo ha di sé stesso e questo, prima o poi – più prima che poi – finirà per avere conseguenze devastanti, dato che l’autostima per ciascuno di noi – e così per le collettività – e’ l’ architrave che regge e modula ogni nostro possibile comportamento.
La stessa capacità di “de-coincidere” da noi stessi, da abiti mentali che vestiamo da troppo tempo, sagomati dall’uso prolungato sulle nostre forme e sulle nostre posture e, dunque, vestiti volentieri, è richiesta da altri imponenti fenomeni sociali, dalle migrazione, dalla crescita esponenziale dell’ informazione e della comunicazione, dalla generalità’ dei profili toccati dalla globalizzazione.
Domenico Galbiati