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“Weaponisation”: la guerra come fenomeno tecnologico permanente – di Umberto Baldocchi

Weaponisation è un “simpatico” neologismo  anglofono, chissà perché sinora ignorato da tutti i giornalisti della carta stampata e dei media audio-visivi,  un neologismo che ha fatto, a quanto ne so,  il suo ingresso ufficiale poche settimane fa nei documenti governativi. In particolare, il termine compare alle pagine 25 e 27 delle Political Guidelines for the next European Commission 2024-2029 di Ursula von der Leyen   del 18 luglio 2024, cioè nel documento programmatico fondamentale della nuova Commissione Europea.

Ecco i due contesti citati, entrambi collocati entro il paragrafo  “ A global Europe: leveraging our power and partnerships” ( Una Europa globale: utilizzare la nostra potenza e le nostre alleanze):

“ Siamo entrati entro un’epoca di rivalità geostrategiche. La postura più aggressiva  e la competizione economica scorretta della Cina e la sua amicizia “no limits” con la Russia ….riflettono un passaggio dalla cooperazione alla competizione. Stiamo assistendo ad una Weaponisation di tutti i tipi di politica, dall’energia,  alla migrazione ed al clima. In conseguenza il nostro ordine internazionale basato sulle regole  sta cedendo e le nostre istituzioni globali sono divenute meno efficienti….”(p. 25).

“ Questo (una nuova politica estera economica)  è estremamente importante in un monco modellato dalla lotta per  il vantaggio tecnologico, dalla Weaponisation delle dipendenze economiche e da  una sempre più sottile  linea di divisione tra sicurezza ed economia” (p. 27). 

Weaponisation non mi pare abbia alcun corrispettivo in italiano né in altre lingue straniere  attuali da me conosciute, ha, va precisato, un corrispettivo perfetto in greco antico dove compare peraltro in un contesto estremamente significativo ed illuminante.  Ma torniamo al senso attuale del termine.

Weaponisation, come si capisce bene dal contesto, significa tendenza a trasformare ogni cosa in arma di guerra, trasformare in arma di guerra infrastrutture di servizio,  oleodotti, energia, cibo, riserve alimentari, ricchezza finanziaria, ed oggi lo vediamo con Hezbollah in Libano, addirittura i cerca-persone e gli walkie talkie, e chissà cos’altro ancora nel prossimo futuro. Magari il pc con cui sto scrivendo. 

Perché sorprendersi di quanto succede in Medio Oriente ? Se ogni cosa od oggetto “connesso” può diventare arma manovrata da remoto, il pericolo imminente- o la realtà in cui già ci troviamo-.- non è una guerra mondiale a pezzetti, ma una guerra globale, ubiquitaria e permanente da cui non si capisce come si potrà uscire.  Una guerra in cui muoiono “soltanto” i civili  come effetto collaterale dell’attacco militare ( come possono morire cento civili se un algoritmo od un essere “umano” ritiene  “urgente e necessario” uccidere un nemico militare che è confuso tra loro) oppure muoiono i militari, ma soltanto  quelli dello Stato tecnologicamente arretrato rispetto alle recenti innovazioni tecnologiche. Il progresso tecnologico fra l’altro non è più un optional  o uno strumento per migliorare la vita, ma è ormai l’imperativo categorico per la sopravvivenza.

Di qui un’altra conseguenza, chiara anche nella relazione Von der Leyen, che sembra dare per scontata e insuperabile questa trasformazione della realtà. Quale distinzione può ancora esserci tra politica economica e politica di difesa, tra scelte economiche e scelte militari e belliche ?  Come può essere il libero e imprevedibile consenso di una assemblea parlamentare a decidere delle questioni concernenti la guerra e la pace ( dichiarare lo stato di guerra, come scritto nelle costituzioni), se la difesa militare e l’economia sono un tutt’uno inscindibile? 

Se la guerra diviene un fenomeno tecnologico permanente ( ovviamente non sottoponibile ai “vecchi” giudizi morali, come quelli di guerra giusta o ingiusta), se il problema diviene quello di promuovere in permanenza l’industria della guerra ( e la tecnologia che produca l’ “arma segreta” più potente capace di fiaccare  militarmente il nemico)  e non più quello di organizzare la pace insieme alla sicurezza, perché non affidare in Europa la decisione in ultima istanza ad una autorità assoluta “indipendente” da ogni altro potere come  è quella della Banca Centrale Europea?   

Resterebbe  solo un problema pratico: che farcene della democrazia e delle Costituzioni.  Oltre ad un attuale problema teorico: chi è in grado di dimostrare la nostra entrata in una irreversibile  era di riarmo e di conflittualità non superabile se non con la guerra?  In quale consesso pubblico si è discusso di questo?  Non dovrebbe essere questa la prima questione da affrontare nell’ Europarlamento?

Umberto Baldocchi

 

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