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Yamo Ansari, dalla fuga dall’Afghanistan a soccorritore nel Mediterraneo

Per quale motivo la scelta dell’infermiere a bordo di una nave dell’Ordine di Malta a Lampedusa?

“Il motivo principale che mi ha spinto a intraprendere questo viaggio è stato senza dubbio il desiderio di aiutare il prossimo. Sentivo l’esigenza di vivere un’esperienza diversa dalla quotidianità di una corsia ospedaliera. Volevo entrare in contatto diretto con la sofferenza umana, vederla e toccarla con mano, al di fuori delle mura protettive di un ospedale. Credo fermamente che siano proprio queste esperienze a cambiare profondamente le nostre prospettive. L’interazione con persone in situazioni di grande difficoltà ci costringe a rivedere le nostre priorità, a rivalutare ciò che consideriamo importante nella vita quotidiana e a sviluppare una maggiore empatia e comprensione per le difficoltà altrui. Questo viaggio ha rappresentato per me, un’opportunità unica di crescita personale e professionale.

Inoltre, la possibilità di offrire il mio aiuto a chi ne ha davvero bisogno mi ha dato un senso di appagamento e di realizzazione che difficilmente avrei potuto sperimentare altrove. La sofferenza umana, osservata da vicino, ha la capacità di farci riscoprire il vero significato della solidarietà e dell’altruismo. Ogni incontro, ogni sorriso ed ogni parola di gratitudine che ho ricevuto in questo viaggio hanno contribuito a rafforzare la mia convinzione che la mia scelta non solo fosse giusta, ma anche necessaria per il mio percorso di vita. In sintesi, questo viaggio non è stato solo un’opportunità di aiutare il prossimo, ma anche un’occasione per rinnovare e arricchire la mia visione del mondo, trasformando in maniera indelebile il mio modo di percepire la sofferenza e di interagire con essa”.

Come ha deciso di lasciare l’Afghanistan?

“All’età di 7 anni, non si ha alcuna capacità decisionale autonoma. A questa tenera età, si è felici in qualsiasi contesto ci si trovi, persino sotto le bombe. La percezione della realtà, infatti, è ancora incompleta e non pienamente sviluppata. E’una fase della vita in cui il mondo esterno è filtrato attraverso l’innocenza e la semplicità infantile. Le decisioni importanti, che possono determinare il corso della vita di un bambino, sono necessariamente prese dagli adulti che lo circondano. Genitori, familiari e tutori sono coloro che valutano e stabiliscono ciò che ritengono essere il meglio per il minore.

In un contesto di guerra, ad esempio, un bambino di 7 anni non può comprendere appieno la gravità e la pericolosità della situazione. La sua mente è ancora troppo giovane per afferrare concetti complessi come la violenza, la perdita e la distruzione. Per lui, un rifugio antiaereo potrebbe sembrare un luogo avventuroso, ignaro dei veri pericoli che lo circondano. Gli adulti, invece, devono prendere decisioni difficili e dolorose per garantire la sicurezza e il benessere del bambino, spesso senza poter spiegare in modo comprensibile le ragioni delle loro scelte”.

In quale modo è arrivato in Italia?

“Diciamo che ne ho fatti di chilometri a piedi, una maratona più lunga del normale: però, ripeto, non ci si rende conto ed è questa la bellezza: una maratona che va dall’Afghanistan all’Inghilterra, passando per Iran, Turchia, Grecia ed infine Italia, la destinazione non scelta, sogno dell’Inghilterra andata in frantumi”.

Quale è l’attività svolta su una nave che soccorre i migranti?

“A bordo delle navi della guardia costiera, è sempre presente il personale sanitario del CISOM, il Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta. L’attività principale che si svolge a bordo delle motovedette consiste nel monitorare la salute generale delle persone soccorse. Questo compito comporta una varietà di interventi, che vanno dalla rianimazione cardiopolmonare alle semplici medicazioni di ferite od ustioni riportate dai naufraghi. Le ferite trattate dai sanitari del CISOM sono spesso causate dalle azioni della guardia costiera libica o tunisina.

Inoltre, molte persone soccorse presentano ustioni, provocate dalla cosiddetta ‘miscela maledetta’, una combinazione di acqua e carburante che produce gravi lesioni cutanee. Questo tipo di ustione è particolarmente doloroso e richiede un trattamento immediato per prevenire ulteriori complicazioni”.

Quali sentimenti ha provato nel soccorrere i migranti?

“I sentimenti che emergono nel momento in cui si soccorrono le persone ammassate l’una sull’altra su un maledetto barchino di ferro, di appena cinque metri di lunghezza, sono complessi e contrastanti. Questi individui hanno affrontato un’odissea infernale, attraversando i Paesi dell’Africa centro-meridionale ed il deserto, con la sola speranza di raggiungere le coste del Nord Africa per poi affrontare l’incertezza della traversata verso l’Europa. Ogni passo di questo viaggio è stato segnato da immense difficoltà e pericoli, con la costante minaccia di fallimento o di morte.

Quando finalmente vengono avvistati e soccorsi dalla guardia costiera, la disumanità del presente diventa subito evidente. La vista di queste persone, stremate e disperate, ammassate su imbarcazioni del tutto inadatte, è un colpo al cuore. Questi esseri umani, che hanno sopportato inenarrabili sofferenze e privazioni, ci pongono di fronte alla cruda realtà delle loro vite.

L’inevitabile mescolanza di rabbia e gioia invade il cuore dei spesso traumatizzate ed indebolite, trovano nei soccorritori un punto di riferimento ed un primo segnale di accoglienza. Il lavoro svolto a bordo delle motovedette è essenziale non solo per curare le ferite del corpo, ma anche per iniziare a sanare le ferite dell’anima, causate da un viaggio disperato in cerca di salvezza.

Simone Baroncia

Pubblicato su www.acistampa.it

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