Abbiamo parlato del “piagnisteo” dei cattolici che si lamentano della propria irrilevanza (CLICCA QUI). Una irrilevanza che è frutto anche dell’idea della dispersione in tutte le forze politiche, la famosa diaspora, e del fermarsi alla cosiddetta pre -politica, assieme ad altri vizi che, anche chi si dice cattolico, assorbe nel momento in cui entra a far parte del “sistema”.
Intervenendo a Bologna, in occasione del convegno «L’impegnò politico dei cattolici nell’attuale passaggio d’epoca. Diagnosi e prospettive» Stefano Zamagni, invece, ha presentato un’idea del tutto diversa sull’impegno politico dei cattolici (Per ascoltare l’intervento CLICCA QUI).
Zamagni è parte dalla considerazione generale che il cristianesimo è una religione incarnata non una religione incartata, cioè sulla carta. Nel senso che sta dentro la storia di uomini che vivono in società. Spicca dunque la dimensione della politica. La diretta implicazione è che un cattolico non può disinteressarsi della politica. Poi, si può ragionare sui modi e sulle forme dell’interessamento.
Zamagni ha ricordato come già il cardinale Newman disse che i cattolici devono difendere la ragione e quindi la politica. Ma non una politica qualunque, bensì quella che si preoccupa della nostra convivenza.
La fase che viviamo- ha aggiunto- è straordinaria e c’è una discontinuità rispetto al passato che va compresa. Viviamo una grande trasformazione e, quindi, i pensieri che hanno guidato la nostra azione fino ad oggi sono obsolete, ma noi continuiamo a seguirle. Globalizzazione, intelligenza artificiale obbligano a fare i conti con una realtà nuova.
A suo avviso il difetto non sta nel fatto che manchino cattolici in politica, ma in quello che manca il pensiero cattolico in politica. Così quanti teorizzano la cosiddetta diaspora, utilizzando la metafora del “lievito”, compiono un errore tragico. Perché nell’agire politico in democrazia vale il principio di maggioranza e se di ciò non si tiene conto si sfocia inevitabilmente nell’irrilevanza. Per raggiungere la rilevanza è necessario raggiungere una “soglia critica” di sufficiente influenza da poter determinare certi esiti piuttosto che altri.
Zamagni ha ricordato che Giovanni Paolo II coniò per primo il termine “strutture di peccato” nella Sollecitudo Rei Socialis (CLICCA QUI), ma questa enciclica non viene mai chiamata in campo e i riferimenti sono sempre all’individuo, mai all’assetto istituzionale. Come si fa a cambiare le strutture di peccato?: con la politica. Le strutture si cambiano in Parlamento. E ciò comporta che i cattolici non possono più limitarsi al piano pre politico.
Per ascoltare l’intervento si Stefano Zamagni CLICCA QUI