Site icon Politica Insieme

Zamagni: la Sanità come bene comune ha bisogno del pubblico, del privato e del civile

Un ragionamento a tutto tondo con affondo finale, quello che Stefano Zamagni, professore di Economia politica nell’Università di Bologna e presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali-Pas, ha fatto dal palco del Meeting di Rimini, in questa edizione 2024 che va alla “ricerca dell’essenziale”.

Seduto nel panel “Diritto alla salute e carità” e ascoltati gli interventi di Sergio Daniotti, presidente di Banco farmaceutico, di Giorgio Bordin, presidente di Medicina e persona, di Domenico Giani, presidente della Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia e di Luca Pesenti, professore di Sociologia all’Università cattolica del Sacro cuore e coordinatore dell’Osservatorio sulla povertà sanitaria di Banco farmaceutico, Zamagni tira dritto verso un postulato fondamentale: nel ragionamento sulla salute e sulla sanità non si può prescindere da una differenza e da un passaggio storico.
La differenza è quella tra due termini: valetudo salus, salute in senso fisico il primo, salvezza del corpo e dell’anima il secondo.

Il passaggio storico – che secondo Zamagni noi ancora dovremmo fare – parte da Cartesio e si ferma su una distinzione che ci stiamo portando avanti da secoli: quella tra cura della malattia e cura dell’ammalato ovvero la medicina umanistica. «Il problema oggi è come fare per raccogliere e per vincere la sfida per abbandonare il modello cartesiano e andare verso la medicina umanistica. A questa sfida sono chiamati tutti», ha detto stentoreo Zamagni.

La salute è un “bene comune”, quindi né pubblico né privato: la governance della salute deve essere di tipo “comunitario”.

Ma con una precisazione fondamentale: «Che la salute sia finalmente considerata e tutelata come “bene comune”, definizione che l’Organizzazione mondiale della sanità ha dato nel 2008 ma di cui nessuno parla mai. Questa è la delinquenza: che non si parla mai delle cose quando sono vere», dice Zamagni mentre ad una sala attonita. E dunque se la salute è un “bene comune”, vuol dire che non è né un bene pubblico né un bene privato e quindi per Zamagni «Le regole di governance della sanità non possono essere né solo di tipo pubblicistico né solo di tipo privatistico, ma ci deve essere un modello di governance di tipo comunitario».

I cinque fattori della salute

Il primo è certamente la sanità. Ma non solo. La nostra salute, dice Zamagni, dipende anche da altri quattro fattori: gli stili di vita, le condizioni di lavoro, l’ambiente naturale e, infine, la strutturazione sociale dentro la quale il fattore decisivo è la famiglia.
Questo per Zamagni è il passo decisivo: «Nessuno dice mai perché se noi carichiamo la salute solo sulla sanità non ci sarà mai niente da fare e continueremo a spendere sempre di più e le condizioni di vita peggioreranno sempre di più».

E qui il richiamo all’articolo 32 della Costituzione che non parla solo di “sanità” ma di tutela della “salute” e agli anni novanta del secolo scorso che hanno segnato un cambiamento di asset della sanità nazionale trasformata, in due decreti legislativi, in “aziende” sanitarie: «Nono è solo il cambiamento di un nome ma di “filosofia” di fondo: viene messo al centro il criterio dell’efficienza, dell’azienda. L’organizzazione sanitaria deve essere pensata in modo da minimizzare i costi di produzione dei servizi». Si chiama “efficienza”, ma quella richiamata da Zamagni e che parte dall’economista Vilfredo Pareto ha tutt’altra accezione rispetto alla deriva che essa ha poi preso nel settore sanitario, cioè taglio indiscriminato di servizi: «Si tratta di un errore teoretico: io posso applicare questo criterio se devo produrre i bulloni, ma non posso minimizzare i costi quando in gioco c’è la salute della persona», ha detto.

Altro punto dolente: per Zamagni è il modello tayloristico impiantato dentro ai nostri ospedali, col risultato della non flessibilità, della non scalabilità, la non modularità. Il Covid ce lo ha insegnato.
La ricetta? Quella di una sanità “plurale”, in cui si mettano in interazione fra di loro pubblico privato e civile, cioè il modello cosiddetto tripolare di ordine sociale pubblico-privato-civile: «Voi mi direte “perché non dici il Terzo settore”? Perché a me non piace! Il Terzo settore non l’abbiamo inventato noi, è stato inventato in America nel 1973, ma lì è ovvio che si chiami così perché viene dopo lo Stato e dopo il Mercato e arriva come una “croce rossa sociale” che aiuta. L’Italia invece ha inventato 850 anni fa quegli enti che si chiamano Organizzazioni a movente ideale-Omi. Quindi “terzo settore” non appartiene alla nostra radice, noi siamo legati alla “società civile”, ecco perché dobbiamo parlare di “settore civile” e non di terzo settore», sottolinea Zamagni.

Lo sforzo da fare è dunque di mettere in interazione il settore pubblico, il settore privato e il settore civile o, come ormai lo chiamiamo, il “Terzo settore”: «Però fintanto che lo chiameremo “Terzo” settore, a questi soggetti al massimo arriveranno ogni tanto delle medaglie di riconoscimento del tipo “siete bravi ragazzi”, invece mettere in interazione di questi tre vertici vuol dire prendere in considerazione il principio di “sussidiarietà circolare” in cui i tre ambiti pubblico-privato-civile devono interagire fra di loro perché si possa attuare la co-programmazione e poi la co-progettazione, come finalmente ha stabilito anche la sentenza 131/2020 della Corte costituzionale. Finalmente attorno al tavolo siedono il pubblico, il privato e il civile e si decidono le priorità e gli obiettivi utili da raggiungere, poi avviene la co-progettazione che vuol dire scrivere i progetti per attuare quanto è stato co-programmato. Con la sussidiarietà orizzontale, invece, al massimo si ottiene la co-progettazione che già qualcosa, ma non basta in un ambito come la sanità perché a decidere sui nostri bisogni sanitari non può essere soltanto un soggetto pubblico.

I bisogni in ambito sanitario li conoscono meglio i volontari, le associazioni di volontariato, le cooperative sociali che stanno in mezzo alla gente, sentono quello di cui c’è bisogno. Può decidere le priorità chi sta chiuso in un ufficio e sta in mezzo alla burocrazia?», chiarisce a tutti Zamagni

Gabriella Debora Giorgione

Pubblicato su www.vita.it

Exit mobile version