La differenza tra ascoltare il professor Stefano Zamagni e tutti gli altri economisti sta in una sola parola:  “speranza“. Questo economista, dallo spiccato accento romagnolo, fa della cultura uno strumento al servizio del buon senso e della pietas. Il discorso che ha tenuto all’Istituto De Filippi di Varese, su invito del Circolo della bontà onlus (Fondazione  per gli ospedali di Varese e del Verbano), è quanto di più bello si potesse sentire da un accademico, così vicino ai veri bisogni dell’uomo soprattutto se si parla di sanità e salute.
In tema di sanità la politica ha fallito e continua a fallire perché, come dimostrano le statistiche relative alle persone che non possono accedere alle cure, ha accettato come normale il fatto che ci sia una società divisa in sommersi e salvati, rinunciando a quella speranza, che pur esiste.

SCAVARE NELLE PAROLE

Zamagni è uno che scava nel significato delle parole. Non certo per sfoggiare il suo sapere, quanto piuttosto per evidenziare i danni che genera l’ignoranza. Un pensiero che viene da lontano, ben sintetizzato da don Lorenzo Milani quando ai giovani allievi di Barbiana ripeteva questa frase: «Ogni parola che non impari oggi è un calcio nel culo che prenderai domani».
«La parola salute nella lingua latina ha due accezioni: valetudo e salus – ha ricordato il professore -. La prima fa riferimento al benessere fisico, mentre la seconda significa salvezza. Dunque la salvezza del corpo e dell’anima».
Sono due prospettive diverse che s’incrociano da sempre nella vita dell’uomo. Almeno fino a quando è arrivato Cartesio, che ha messo al centro la malattia dimenticandosi del malato e quindi della persona. «Aggredire la malattia non basta se ci si dimentica dell’essere umano» ha detto Zamagni.

LA SANITÀ È UN BENE COMUNE

La visione scientifica cartesiana, dopo circa tre secoli, ha lasciato spazio a una visione umanistica. Il punto di partenza di questa transizione è stata la definizione disanità quale “bene comune”, elaborata dall’Oms. Parliamo di un bene che non è privato e tantomeno pubblico. «È un bene comunitario – ha spiegato l’economista – alla cui gestione devono concorrere più soggetti e non uno solo». Una collaborazione tra Stato, privati e tutte quelle organizzazioni che sono espressione della società civile organizzata, chiamata “Terzo settore”.

DALLA CULLA ALLA TOMBA

Tra i tanti contributi che gli inglesi hanno dato alle democrazie moderne, c’è anche l’introduzione del Servizio sanitario nazionale. «Fu lord Henry William Beveridge membro della Camera alta inglese – ha ricordato Zamagni – a coniare la definizione “dalla culla alla tomba”. Anche se lo aveva preceduto Keynes nel 1939. Testo che gli economisti non conoscono perché sono ignoranti».
Se quel moderno concetto di welfare poteva valere nel 1942 ed è andato bene per un po’ di tempo, oggi non è più sostenibile. Lo Stato non deve sparire nella gestione della sanità ma solo indietreggiare un poco per lasciare avanzare i soggetti privati e quelli della società civile. «Il modello di organizzazione e di gestione della sanità – ha spiegato Zamagni – deve essere comunitario e sussidiario».
Un’altra variabile importante è il reddito. Le ricerche hanno messo in evidenza che dove c’è un’alta diseguaglianza di reddito, le condizioni di salute sono più basse, a parità di altre condizioni. Quindi ci possono essere ospedali, medicine e ricerca, ma se c’è una cattiva redistribuzione della ricchezza la salute ne risente in modo più marcato. Le altre componenti che definiscono il nostro livello di salute sono: l‘alimentazione, le condizioni di lavoro e quelle ambientali.

GLI OSPEDALI COME LE FABBRICHE

È su tutte queste variabili che bisogna agire per migliorare la nostra salute. Se si guarda alle strutture della sanità, come gli ospedali, non si può ignorare il fatto che il modello organizzativo utilizzato è quello taylorista, elaborato da un ingegnere americano nel 1911, e ancora oggi adottato nelle catene di montaggio delle fabbriche.
Una volta sperimentata con successo l’organizzazione scientifica del lavoro nella manifattura, è stata applicata al settore universitario e a quello ospedaliero. «Quel testo dice che l’operaio deve essere trattato come un bovino perché non deve pensare ma solo obbedire, proprio come fanno i buoi».
Il taylorismo fu adottato anche in Russia perché Lenin aveva studiato a Parigi e conosceva quel testo: «Pensate un po’ capitalismo americano e sistema sovietico andavano a braccetto».
Domandarsi perché i giovani, tra cui tanti medici, se ne vanno dall’Italia, secondo Zamagni è fondamentale. I giovani vogliono poter scegliere e dire la loro, ma il sistema baronale italiano anziché ascoltarli, li relega a un ruolo subalterno.
«È un errore clamoroso – ha sottolineato il professore – perché le invenzioni che permettono di innovare il sistema le fanno i giovani. È una questione anche fisiologica, visto che la creatività inizia a scemare dopo i 40 anni».

L’ALTERNATIVA C’È

Un’altra via e un altro modello sono possibili? Secondo Zamagni, sì. L’alternativa c’è ed è stata introdotta da Raymond Robertson della Harvard Business School che nel 2007 ha pubblicato “Holacracy” un libro che introduce un sistema che è l’esatto opposto del taylorismo. Il modello olografico, basato sulla creatività, è in grado di realizzare una comunione di intenti tra il giovane che sollecita e chi ha più esperienza. È da questo confronto che si ottengono i risultati. I giovani non se ne vanno dall’Italia perché vogliono più soldi ma perché nel loro paese non possono esprimere tutto il potenziale che hanno.
Zamagni pensa alla sanità come a una catena costituita da tanti anelli. E se l’ultimo anello della catena è rappresentato dall’ospedale, a monte ci sono le ditte farmaceutiche, le imprese che producono gli strumenti di diagnostica, i laboratori di ricerca.
Un altro aspetto curioso, secondo il professore,  è che i medici non sanno quasi nulla di economia sanitaria e così «vengono fregati» da quegli stessi soggetti che dovrebbero concorrere alle spese di formazione del personale medico e paramedico. «Per formare un medico ci vogliono in media dieci anni, pagati con i soldi dei cittadini, sei di laurea e quattro di specializzazione più eventualmente il dottorato di ricerca. Gli ospedali del terzo settore, specialmente quelli legati alle congregazioni, come il Fatebenefratelli, sono in difficoltà a causa della crisi vocazionale e pertanto non riescono più a sostenersi.
«È un delitto –  dice Zamagni – perché gli ospedali italiani nascono proprio dagli ordini religiosi, tra i primi ci sono quelli toscani, di Siena e Firenze che aprono la via a un modello di sussidiarietà».
Per l’economista, che è stato presidente della Agenzia del Terzo settore a Milano, la sussidiarietà orizzontale non basta. Occorre avere una “coprogettazione” e una “coprogrammazione” per definire obiettivi, priorità e reperire risorse. E nella fase di programmazione devono partecipare tutti i soggetti: ente pubblico, imprese e terzo settore. «Il principio della circolarità – ha concluso Zamagni – l’ha inventato un certo Bonaventura da Bagnoreggio, un francescano che Dante colloca nel Paradiso. Tutti insieme per servire il bene comune, non per fare gli interessi della tua parte politica. Bisogna avere il coraggio di dirlo a voce alta».
Per servire il bene comune nessuno andrebbe lasciato solo sotto il peso di una responsabilità che non è stata condivisa.

Intervista pubblicata su www.varesenews.it

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